Sono ormai passati otto giorni dalla festa del Primo Maggio, ma si è fermata fuori dalle mura del carcere. Lì, il lavoro scarseggia, e questo contribuisce all’inutilità del carcere, già gravemente colpito dal sovraffollamento. Secondo i dati del ministero della Giustizia, al 31 dicembre 2024 in Italia erano detenute 61.861 persone. Solo 21.235 di queste — poco più di un terzo — svolgono un’attività lavorativa all’interno degli istituti penitenziari. Di chi lavora dietro le sbarre, l’ 84,5% presta servizio per l’Amministrazione penitenziaria (18.063 unità), mentre appena 3.172 reclusi — il 5,1% del totale — lavorano per datori di lavoro esterni. Tra questi ultimi, 1.123 sono semiliberi, 898 ammessi al lavoro esterno secondo l’articolo 21 della legge 354/ 1975 e 902 impegnati in lavori per cooperative sociali. Le imprese private profit contano appena 249 assunzioni in tutta Italia.
La legge 193/ 2000, nota come legge Smuraglia, offre sgravi fiscali e contributivi alle aziende che impiegano detenuti. Per il triennio 2024– 2026 il governo ha stanziato circa 19 milioni di euro all’anno. Eppure, nel 2024 sono state presentate soltanto 536 domande, per un importo complessivo pari a 10,6 milioni. Meno della metà delle risorse disponibili rischia di rimanere inutilizzata. Nella pratica, le cooperative sociali fanno da ponte tra carcere e mondo del lavoro. Spesso sono loro a farsi carico dell’iter burocratico — richieste di nullaosta, visite ispettive, permessi — mentre molte aziende profit restano ai margini, spettatrici passive. Ne deriva un quadro in cui buona parte degli incentivi finisce nelle mani di chi già opera nel sistema carcerario, anziché raggiungere nuovi investitori.
Le ragioni di questo fenomeno sono diverse. Come documentato nei rapporti dell’associazione Antigone, le procedure amministrative sono complesse e richiedono competenze che le imprese faticano a trovare. Gli sgravi coprono solo una componente minima della retribuzione — intorno ai 520 euro mensili — e restano destinati a detenuti con specifici profili giuridici. Molti imprenditori temono conseguenze legali o danni d’immagine, nonostante le garanzie offerte dalla normativa. Dai dati 2024 emerge un forte divario territoriale: al Nord si concentra la maggior parte delle richieste, mentre in regioni del Centro e del Sud le opportunità restano in gran parte sulla carta. L’offerta di lavoro carcerario si limita spesso a piccoli laboratori artigianali o a progetti di cooperazione, senza un vero collegamento con industrie di medie o piccole dimensioni.
Le analisi evidenziano un altro nodo: le competenze dei detenuti spesso non incontrano le esigenze del mercato esterno. I livelli di istruzione e le professionalità acquisite in carcere risultano insufficienti per garantire un inserimento stabile, creando uno scarto tra domanda e offerta di lavoro. Per trasformare i 19 milioni di euro stanziati in posti di lavoro, servono maggiore informazione sugli sgravi e semplificazione delle procedure. Occorre costruire reti stabili tra istituzioni, cooperative e imprese, con progetti formativi mirati alle reali necessità del tessuto produttivo. Non mancano, associazioni come Seconda Chance che dal 2022 sta portando avanti un lavoro egregio in tal senso, creando sinergie tra il mondo imprenditoriale e le strutture carcerarie, facilitando l’ingresso delle aziende nel progetto. Il lavoro in carcere ha un valore simbolico e pratico: è strumento di rieducazione e ponte verso il reinserimento. Sbloccare gli incentivi Smuraglia non significa soltanto ottimizzare un capitolo di spesa pubblica, ma rispettare un principio scritto nella Costituzione italiana. Solo così si potrà ridurre il confine tra “dentro” e “fuori”, restituendo dignità e prospettive a migliaia di persone ristrette.
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