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La necessità di sistemi automatici di indicizzazione dei salari all’inflazione


In Italia ci sono 24 milioni di lavoratori che vedono perdere costantemente il loro potere d’acquisto a causa dell’inflazione, e diventano sempre più poveri. I dati sono drammatici: da decenni i salari italiani diminuiscono in termini reali, e anche rispetto a quelli degli altri paesi avanzati europei. Secondo un rapporto dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) confermato dall’ Istat i salari reali in Italia sono inferiori di 8,7 punti rispetto al 2008: gli italiani guadagnano meno oggi rispetto a 16 anni fa. Gli stipendi sono regrediti soprattutto negli ultimi anni: le retribuzioni reali di marzo 2025 sono inferiori di circa l’8% rispetto a quelle del gennaio 2021. Anche il presidente Sergio Mattarella ha denunciato che i salari sono sempre più bassi e insufficienti di fronte al carovita. Ma la premier Giorgia Meloni non vuole neppure garantire un salario minimo ai lavoratori italiani:; e anche i sindacati e le forze progressiste e di sinistra faticano a affrontare il problema e a proporre soluzioni efficaci di fronte alla questione fondamentale di adeguare i salari al costo della vita, che aumenta continuamente. Sembra che a molta parte della sinistra, dei politici illuminati e riformatori e degli accademici progressisti – e anche a troppi economisti di sinistra – sfugga che il problema fondamentale per gran parte delle famiglie di lavoratori è arrivare alla fine del mese. Anche la democrazia è a rischio e vale ben poco se non riesce a garantire ai lavoratori un reddito dignitoso e se spinge i ceti medi e i lavoratori alla soglia della povertà. Se la sinistra non si batte per migliorare le condizioni di chi lavora inevitabilmente si consolida la destra. La soluzione per adeguare i salari al costo della vita c’è, e non è neppure troppo complessa: occorrerebbe che le forze politiche progressiste e i sindacati elaborassero con coraggio e audacia proposte concrete di adeguamento automatico degli stipendi al costo della vita. Una proposta di tale fatta verrebbe appoggiata convintamente da milioni di cittadini e potrebbe avere dunque la forza di camminare sulle proprie gambe e di superare i grandi ostacoli che indubbiamente ne ostacolerebbero la realizzazione.

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I sondaggi mostrano che oggi il principale problema delle famiglie italiane è il costante aumento dei prezzi che mangia il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi. In teoria gli stipendi dovrebbero tenere il passo con il costo della vita grazie alle contrattazioni sindacali che si svolgono ogni tre anni circa. Ma tra un contratto e l’altro non è possibile recuperare il costo della vita, soprattutto in periodi di alta inflazione come quello che è iniziato in Europa e nel mondo occidentale alla fine del Covid e soprattutto con l’inizio della guerra in Ucraina e le guerre in Medio Oriente. Occorrono dunque nuove soluzioni per introdurre sistemi automatici di copertura dell’inflazione. Questo è tanto più urgente e necessario in Italia e in Europa considerando che se, a causa dei dazi minacciati dal presidente americano Donald Trump, la domanda estera diminuirà, diventerà indispensabile aumentare la domanda interna per sostenere la produzione e il sistema economico. Solo aumentando i consumi mediante meccanismi automatici di scala mobile sarà possibile sopperire alla contrazione della domanda estera dovuta alla guerra dei dazi inaugurata da Trump e fare crescere gli investimenti e lo sviluppo. Senza consumi interni, niente investimenti né sviluppo!

Chi scrive è convinto che il dovere dei politici e degli economisti progressisti sia quello di indicare le proposte più adatte per soddisfare i bisogni della gente, e in particolare dei settori popolari più esposti all’inflazione e alla povertà, i cosiddetti working poor, cioè i lavoratori che non ottengono un salario sufficiente per vivere dignitosamente e mantenere la propria famiglia. Il governo Meloni, a parte offrire delle manciette alle famiglie più disagiate per recuperare il caro energia e il caro bollette in base a una logica pauperistica e elettoralistica, non solo non vuole affrontare il problema del carovita e della diminuzione del potere d’acquisto dei redditi da lavoro, ma anzi lo aggrava, anche perché ha tolto e/o ridotto il reddito di cittadinanza e impedisce il salario minimo garantito chiesto prima dal Movimento 5 Stelle e (successivamente e con grande fatica interna) anche dal Partito Democratico, dai sindacati, da Sinistra e Verdi e altre formazioni.

E’ ben noto che la principale preoccupazione della destra politica e di governo, e del premier Giorgia Meloni in particolare, è di mantenere il potere a tutti i costi e di soddisfare gli appetiti delle classi dominanti, non certo i bisogni dei lavoratori e dei settori sociali più deboli. Ciò che più meraviglia è però l’apparente indifferenza della sinistra e del sindacato, in particolare quello di sinistra, la CGIL, rispetto a un problema fondamentale quale è quello del recupero del potere d’acquisto dei salari quando l’inflazione è elevata e costante.  Su questo i sindacati sono in forte e colpevole ritardo.

Sul piano macroeconomico per abbattere l’inflazione e recuperare potere d’acquisto esistono in teoria diverse soluzioni: l’Unione Europea potrebbe per esempio regolamentare il mercato all’ingrosso di formazione dei prezzi dell’energia, in particolare dal Title Transfer Facility (TTF) il sistema olandese per il gas e il mercato dell’elettricità. Il TTF è un sistema assurdamente speculativo che associa il prezzo dell’elettricità prodotta da diverse fonti di energia a quello della fonte più cara, il gas. Questo per quanto riguarda l’Unione Europea, che però è assai timida – per non dire del tutto connivente – nell’intervenire sui grandi operatori dell’energia. In Italia il governo potrebbe in teoria agire per calmierare i prezzi grazie, per esempio, a una società pubblica come l’ENI (dove però lo Stato italiano è ormai da decenni in minoranza a causa delle politiche di privatizzazione). Questi sono però interventi strutturali complessi soprattutto sul piano politico: anche nel migliore dei casi, richiedono accordi internazionali e tempi lunghi.

Quello che il governo italiano potrebbe fare più rapidamente e con maggiore efficacia è però introdurre meccanismi di scala mobile, cioè di recupero automatico, totale o parziale, “a posteriori” dell’inflazione in modo NON da aumentare i salari ma almeno da mantenerli allo stesso livello in termini reali. La sinistra, le forze progressiste e i sindacati, dovrebbero richiedere con grande forza l’introduzione di una misura popolare come la scala mobile, che sarebbe certamente appoggiata e promossa con entusiasmo dalla grande maggioranza di lavoratori. Putroppo gran parte dei progressisti sembra ignorare o addirittura respingere questa proposta, quasi sempre in nome della compatibilità competitiva e per timore di infrangere le restrittive regole eropee.

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Forme di adeguamento automatico dei salari alla crescita dei prezzi sono tanto più giuste e necessarie considerando che – come il Fondo Monetario Internazionale ha certificato ufficialmente – gran parte dell’inflazione è dovuta, nonostante le guerre in corso, a un aumento dei margini di profitto e non all’aumento dei prezzi delle materie prime legato ai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Inoltre l’unica maniera di vincere la guerra dei dazi inaugurata da Trump – guerra che porterà a una contrazione dell’export e dei mercati esterni – e di affrontare la deglobalizzazione e la chiusura tendenziale dei mercati extraUE è di aumentare la domanda del mercato interno, ovvero di fare crescere gli stipendi.

E’ chiaro che l’Unione Europea e la Banca Centrale Europea finora sono, e sono state, completamente contrarie a ogni forma di automatismo di crescita salariale, con il pretesto che questo innescherebbe inevitabilmente una spirale di aumento dei prezzi: ma questo è evidentemente falso. E’ infatti ovvio che il recupero a posteriori del carovita non comporta un aumento reale dei salari – e quindi una pressione inflazionistica a parità di offerta – ma semplicemente il recupero di potere d’acquisto e la ripresa della domanda al livello precedente. Non solo regole elementari di equità impongono che i salari siano adeguati al livello dei prezzi: sul piano macroeconomico se tutti i salari restano bassi la domanda diventa insufficiente per rilanciare gli investimenti produttivi. Nessun capitalista investe se non può vendere, e nessuno compra se non ha redditi sufficienti. Un capitalismo moderno e tecnologico, quale quello che caratterizza – o dovrebbe caratterizzare –  l’Unione Europea, non dovrebbe basarsi sulla riduzione dei salari ma sull’aumento dei consumi, privati e pubblici. La crescita dei consumi costituisce l’unico fattore che attualmente può trainare gli investimenti e la competitività a livello globale.

Nel passato l’abolizione della scala mobile è stata un prerequisito per l’ingresso dell’Italia nella UE. Il governo di Bettino Craxi fece di tutto per limitare la scala mobile concordata nel 1975, tra i sindacati e la Confindustria con il famoso accordo Lama-Agnelli. Poi la scala mobile, anche grazie alla vittoria referendaria del 1985 da parte del governo Craxi, venne abolita definitivamente nel 1992. I salari dei lavoratori sono stati sacrificati nel nome dell’austerità imposta dall’Unione Europea, della lotta all’inflazione, e della flessibilità del mercato del lavoro. Però con l’ingresso nell’Unione Europea anno dopo anno la quota di redditi da capitale su PIL è aumentata, mentre simmetricamente è diminuita la quota di redditi di lavoro. UE e BCE imposto politiche di compressione dei salari in nome della competitività e della lotta all’inflazione. La riduzione generalizzata dei salari non ha però fatto bene al capitalismo europeo, che è oggi il grande malato dell’economia globale. Tutti i dati ci dicono che ridurre i salari ha comportato la compressione degli investimenti e quindi la diminuzione della competitività e, in ultima analisi, anche la riduzione dei profitti.

Oggi però in una fase di deglobalizzazione e di guerra commerciale globale il sostegno alla domanda interna diventa assolutamente fondamentale. Quindi è auspicabile che anche UE e BCE comincino a abbandonare le politiche selvagge e ultraliberiste di compressione dei salari. E comunque politici e economisti progressisti non dovrebbero farsi bloccare dalla logica delle compatibilità a cui ci costringe l’assurda e suicida austerità europea: occorre al contrario contrastare apertamente i vincoli che congelano lo sviluppo e comprimono drammaticamente la qualità della vità di milioni di persone. E’ ovvio che un accordo europeo sulla scala mobile sarebbe certamente auspicabile, ma sarebbe anche oltremodo complesso e praticamente velleitario nelle condizioni attuali: occorre allora avere il coraggio di cominciare a proporre intese a livello nazionale.

E’ chiaro che i rapporti negoziali e di forza non sono favorevoli al sindacato e alle forze progressiste. Questo però non dovrebbe impedire di studiare e proporre forme anche parziali di recupero automatico dell’aumento dei prezzi. La richiesta di scala mobile non viene dalla luna e, per quanto non facilmente realizzabile, non solo è socialmente giusta e doverosa ma è concretamente possibile dal momento che sarebbe sostenuta da milioni di lavoratori.

Nell’Unione Europea due paesi ricchi, il Lussemburgo e il Belgio, dispongono già di una sorta di scala mobile che permette il recupero dell’inflazione. In quasi tutti i paesi europei esistono già forme di recupero dei prezzi per le pensioni, anche se molto insufficienti. In generale i salari minimi stabiliti per legge, che sono presenti in quasi tutte le nazioni europee – a parte Italia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia – prevedono già un adeguamento automatico alla crescita dell’inflazione. Esistono diverse modalità di adeguamento degli stipendi ai prezzi, che possono coinvolgere tutti i lavoratori pubblici e/o privati, oppure solo certe categorie di lavoratori o certi livelli salariali, e che possono scattare con differenti periodicità (trimestrale, semestrale, annuale) o solo se vengono superati certi livelli di inflazione.

Per introdurre la scala mobile è ovviamente indispensabile un accordo tra i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro, ma anche norme legislative che impongano per legge i punti dell’intesa tra le forze sociali. L’opposizione a questo esecutivo di destra dovrebbe dunque reclamare che finalmente il governo dimostri di perseguire gli interessi popolari, come demagogicamente pretende di fare, e che quindi agevoli l’introduzione della scala mobile anche mediante adeguati meccanismi di facilitazione e di sostegno finanziario alle imprese.

La premessa di ogni tipo di intervento è che sindacati e partiti progressisti smettano di subordinarsi ciecamente alle regole europee dell’austerità. Paradossalmente la Lega di Matteo Salvini ha già cominciato a ventilare demagogicamente l’introduzione della scala mobile, mentre a sinistra c’è un silenzio assordante o, nel migliore dei casi, denuncia inconcludente. Se la sinistra non si batte per migliorare i redditi reali delle famiglie non ci si può poi meravigliare che i lavoratori votino per buona parte a destra. Le forze politiche di sinistra e progressiste non dovrebbero lasciarsi scavalcare dalla destra per timore di doversi scontrare con le regole europee. Le forze sinceramente progressiste potranno riconquistare il consenso politico e elettorale di milioni di lavoratori solo se riusciranno a promuovere proposte in grado di difendere i redditi dei lavoratori.

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