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Protesta dei precari dell’Università davanti al Rettorato


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Mobilitazione nazionale del personale precario delle Università per uno sciopero che contesta la riforma Bernini e chiede più fondi agli atenei. A Firenze il ritrovo in piazza San Marco davanti al Rettorato per una manifestazione organizzata dal coordinamento nazionale delle Assemblee Precarie Universitarie insieme ai sindacati Flc Cgil, Usi, Cub, Adl Cobas, Clap. In piazza un centinaio di manifestanti si sono ritrovati di fronte al rettorato con striscioni e tamburi, quindi dopo un’ora sono entrati nell’atrio ribadendo le ragioni della mobilitazione e contestando gli accordi dell’ateneo con università e aziende israeliane. Sono rimasti all’interno per una decina di minuti, poi sono usciti ed è partito il breve corteo diretto in piazza Brunelleschi alla facoltà di Lettere e Filosofia. Tante le ragioni alla base della protesta: il sottofinanziamento all’Università con l’Italia che investe l’1,5% di spesa pubblica, un punto in meno della media europea, i tagli contrapposti all’aumento delle spese per la difesa e più in generale la riforma Bernini.

“Io sono un ricercatore e il mio contratto è legato al Pnrr con scadenza 31 gennaio 2026 – racconta Paolo Vezio ricercato alla facoltà di Fisica. Tra poco, con la fine del Pnrr solo qui a Unifi ci sono 150 ricercatori come me precari, che verranno licenziati. Con la scadenza del Pnrr finisce la maggior parte dei fondi di cui l’Università italiana in questi anni ha usufruito. Sono arrivati tanti soldi per tre anni, ma non sono state create delle vere linee di ricerca. I progetti sono in scadenza entro la fine del 2026, però ci sono tante norme che non ti consentono di prorogare su quei fondi e non ci sono altre risorse. Ci sono stati tagli dall’anno scorso e le università sono molto timide nello spendere perché già sanno che ci saranno altri tagli”. La denuncia si estende a tutto il mondo delle università dove vengono colpite decine di migliaia di persone in tutto il Paese. “Questo è il momento in cui noi possiamo ottenere migliori condizioni contrattuali e soprattutto condizioni di lavoro decenti nelle università – spiega Giuseppe Lipari dell’associazione dottorandi e dottori di ricerca – . Non è accettabile un Paese in cui il lavoro e la ricerca è precario a vita e spesso non ha sbocchi di carriera e di una vita stabile. Si rischia di portare l’università italiana verso una crisi irreversibile. Dobbiamo partire dall’idea di stabilizzare, contrattualizzare tutta la ricerca. Decine di migliaia di persone vengono sfruttate e non possono avere una vita decente e finiscono per lasciare il Paese e lavorare all’estero, una grande perdita per l’Italia. Così vanno perse tutte quelle coscienze che l’Italia può sfruttare nell’economia, nel mondo del lavoro. Anche l’attrazione di cervelli dall’estero è impossibile con questi salari così bassi”. 

Tra i punti richiamati dallo sciopero del personale universitario c’è anche il contrasto all’aumento delle spese militari a danno dei finanziamenti destinati all’istruzione. “Noi oggi dobbiamo guardare all’università come a un sistema collegato alla spesa pubblica e agli investimenti che il nostro Paese vuole e può fare – continua Giuseppe Lipari –. Chiaramente quando una spesa pubblica viene dirottata su un sistema militare strategico, abbiamo meno risorse per l’università e per la ricerca. In questo momento si spendono miliardi sulla difesa, mentre noi chiediamo molto meno. Parliamo di spiccioli rispetto alle decine di miliardi che destiniamo alle spese militari”.

Lorenzo Lodi, dottorando alla facoltà di Scienze Politiche della scuola Normale superiore di Firenze: “La riforma Bernini mira a precarizzare ulteriormente la ricerca, rende più ricattabili i ricercatori e più subalterni ai diktat delle imprese o ai potentati che vivono all’interno dell’università. Non è una questione solo di peggioramento della nostra condizione di lavoro e di vita, ma c’è un tentativo sempre più forte di assoggettare l’università a un progetto di privatizzazione, sempre più pericoloso nel momento in cui siamo in un contesto di riarmo e l’università è un polo centrale per le politiche militari”. In piazza ricercatori, ma anche studenti universitari che si vedono rubare il proprio futuro. “Da una parte gli studenti si sentono toccati perché poi saranno i precari di domani e quindi devono mobilitarsi anche loro se vogliono cambiare il loro stesso destino – spiega Leonardo Nicolini, studente di Filosofia –. Dall’altra parte i tagli alle università, svendendole alle aziende private, ci sono anche società che producono materiale bellico, come la Leonardo, che vedono crescere sempre di più la loro filiera, legate agli accordi con le università israeliane e al genocidio in corso a Gaza. Quindi è una mobilitazione che riguarda tutte le persone che fanno funzionare l’università, dai bibliotecari ai lavoratori dell’amministrazione, non solo dottorandi e ricercatori”. “Dobbiamo essere un Paese che investe e crede nell’istruzione, nell’Università e nella ricerca”, dichiara Emanuele Rossi, segretario della Flc Firenze, che ha supportato la mobilitazione insieme ai sindacati di base Usi, Cub, Adl Cobas e Clap. “Basta – conclude – ai tagli sull’istruzione sulla ricerca in favore del riarmo europeo. Noi vogliamo che si investa nei settori chiave per il futuro pacifico del nostro Paese”. 




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