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Hotel, lavoro senza diritti | il manifesto


«Devo pulire almeno tre camere all’ora, per una paga di 2 euro a stanza». Romina è dipendente di una cooperativa che lavora per alcuni hotel del litorale veneto. «A fine giornata il dolore alla schiena è lancinante, ma la mattina dopo bisogna ricominciare allo stesso ritmo forsennato». Secondo una stima di Cgil, il 15% degli alberghi italiani affida a cooperative esterne le mansioni delle cameriere ai piani. Un meccanismo che permette di ridurre il costo del lavoro e non applicare il contratto collettivo nazionale del turismo. Talvolta le cooperative ricorrono al fallimento programmato, per ottenere un appalto senza pagare i dipendenti. Come nel caso di Liliana, che faceva le pulizie in un grande hotel in centro a Milano per conto di una ditta esterna: «A dicembre sono stata licenziata senza preavviso, con un sms. Una sera mi hanno scritto che la mattina dopo non avrei dovuto recarmi in hotel perché la cooperativa era fallita», racconta. «Lavoravo 6 ore al giorno per 7 euro all’ora e non mi sono state retribuite le ultime due mensilità». Liliana ha 32 anni, è nata in Romania e non può permettersi un affitto in centro. «Avevo appena rinnovato l’abbonamento della metro per recarmi al lavoro. Sono separata con un figlio e mi sono trovata all’improvviso in una condizione disperata». Il suo è uno dei tanti casi che negli ultimi anni hanno riguardato il capoluogo lombardo e non solo.

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La pulizia è l’aspetto più importante di un hotel ma è affidato a chi spesso ha il contratto multiservizi o, peggio, pirata e paghe assimilabili al cottimo. Monja Caiolo (Filcams Cgil)

LA SCELTA di esternalizzare riguarda soprattutto i servizi di pulizia e facchinaggio negli hotel più grandi e prestigiosi, spesso di proprietà di catene. Ma per il personale di sala e cucina non va meglio: anche se queste figure sono assunte direttamente, le paghe sono da fame. «Tra colazione, pranzo e cena, lavoravo 10 ore al giorno per 1.100 euro al mese, senza turno di riposo e con un inquadramento più basso rispetto alla mia reale mansione» dice Mirko, che ha fatto il cameriere stagionale in un cinque stelle a Milano Marittima, in Romagna. «Spesso si aggiungevano gli straordinari non retribuiti, in occasione di aperitivi aziendali e conferenze con coffee break». Dopo dieci anni nella stessa catena, che possiede vari hotel di lusso in riviera romagnola, Mirko ha trovato lavoro come autista di taxi: «Rispetto al turismo, qualsiasi altro settore offre più prospettive di crescita professionale». Rocco, che lavora in un quattro stelle a Sciacca in Sicilia, non ha invece trovato alternative: «Da sei anni sono inquadrato come aiuto cuoco per 1.300 euro al mese, nonostante sia capopartita» (lo chef che dirige un team di cuochi, ndr). «Per l’azienda significa risparmiare migliaia di euro ogni anno». Ancora più critica è la situazione di Sara: «Sono stata assunta come cameriera ai piani in un hotel di Viareggio, ma il titolare mi chiede di stirare, lavare i piatti in cucina e preparare le colazioni al mattino, per 1.200 euro al mese».

CON OLTRE 458 MILIONI di presenze, lo scorso anno l’Italia ha superato il suo record storico di turisti. Il settore aumenta sempre di più i profitti, senza adeguare gli stipendi: solo nel 2024, secondo Eurostat, il prezzo dei pacchetti vacanza in Italia è aumentato del 20% rispetto al 2023 (la media Ue è stata del 6,6%), mentre l’indice di retribuzione oraria nel turismo calcolato dall’Istat è fermo da dieci anni. A fronte di una media nazionale di 96 euro di retribuzione lorda per giorno lavorato, il turismo supera appena i 60 euro lordi. Lo stipendio medio annuo è di 11 mila euro lordi, meno della metà rispetto alla media nazionale di 23 mila euro. Alcune eccezioni esistono, come per esempio al Westin Palace di Milano, di proprietà del gruppo statunitense Marriott: «Qui le pulizie non sono esternalizzate e le cameriere ai piani hanno un contratto a tempo indeterminato, ma è una rarità tra i grandi alberghi» afferma Laura Rizzuto, dipendente del Westin e delegata Rsu. «Anche quando è assunto direttamente, il personale subisce salari bassi, orari irregolari e carichi di lavoro massacranti». Negli ultimi anni, per effetto del Jobs act, i precari nel turismo sono aumentati del 60%: «Quando un indeterminato si licenzia o va in pensione, viene sostituito con un determinato o un interinale», sottolinea Rizzuto.

CAMBIARE LA SITUAZIONE è possibile. Quando faceva il cuoco al T Hotel di Cagliari, Cesare si è fatto portavoce di una vertenza che ha coinvolto tutti i 100 dipendenti della struttura. «Non abbiamo chiesto aumenti salariali, bensì il rispetto delle 40 ore settimanali e il corretto inquadramento dei lavoratori. Anziché ricorrere allo sciopero, ci siamo rifiutati di fare gli straordinari. Alla fine l’azienda ha accolto le nostre richieste. Molti albergatori li ritengono privilegi, ma dovrebbero essere la norma. Per questo hanno difficoltà a trovare dipendenti». In vent’anni di esperienza nel settore tra più realtà turistiche, sottolinea Cesare, «ho sempre avuto difficoltà ad avere un contratto regolare e uno stipendio senza fuori busta». Lo conferma Francesco Iannuzzi, ricercatore all’Università Ca’ Foscari di Venezia e autore di Assemblare le differenze (Guerini 2021), un approfondito saggio sui lavoratori dell’industria alberghiera in Italia: «Lo sfruttamento dei dipendenti è un fenomeno sistemico nel turismo, soprattutto nelle piccole realtà a gestione familiare. Per le grandi strutture, invece, la principale criticità riguarda l’esternalizzazione».

UNA PRATICA che secondo Monja Caiolo di Filcams-Cgil, che rappresenta i lavoratori del turismo, «è un modo per ridurre i costi e ottenere il massimo profitto. La pulizia rappresenta l’aspetto più importante di un hotel, anche nei giudizi dei clienti. Ciononostante questo lavoro viene affidato all’esterno, a persone che pur lavorando negli hotel, spesso non hanno il contratto del turismo bensì il multiservizi o, peggio, contratti pirata e sistemi retributivi assimilabili al cottimo». La paga, prosegue Caiolo, «è garantita dal numero di camere riordinate nel tempo stabilito dal datore, molto ristretto. Per evitare decurtazioni, le lavoratrici sono costrette a ritmi di lavoro estenuanti; ma a rimetterci sono anche gli albergatori: in 20 minuti è impossibile rendere impeccabile una stanza».

NEI REPORT annuali dell’Ispettorato del lavoro, il comparto turistico è sempre ai primi posti per la percentuale di irregolarità, che sfiora l’80%. La presenza di categorie svantaggiate è strutturale: il 52% dei lavoratori è composto da donne, il 25% da migranti e il 58% ha meno di 40 anni. Nel turismo trova più facilmente impiego chi ha difficoltà a trovarlo altrove, ma non si tratta di una virtù, poiché le condizioni di lavoro sono degradanti. Così le riassume Iannuzzi: «Esternalizzazioni barbariche, flessibilità estrema, irregolarità diffuse, elevato sviluppo di malattie lavoro-correlate, salari bassi e carichi di lavoro massacranti. Il turismo è il “triangolo delle Bermuda” dell’industria, dove tutti i dispositivi di regolazione previsti dalla legge si disperdono nel nulla».

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