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Fornitore evasore: detrazione IVA a rischio per il cliente “consapevole”


Commento a Cass. civ., sez. V, ord. 16 aprile 2025, n. 9919

Di Marco Paoloni

La recente Ordinanza n. 9919, depositata il 16 aprile 2025, della Corte di Cassazione Sezione Tributaria, offre importanti spunti di riflessione in merito alla detrazione dell’IVA in presenza di operazioni riconducibili a fenomeni evasivi posti in essere dal fornitore.

Il caso è il seguente: l’Agenzia delle Entrate contesta alla ditta individuale Alfa la detrazione IVA  ai sensi dell’art. 19 d.P.R. 633/1972 relativa alle fatture di acquisto emesse dalla società Beta, sulla scorta, non di una vera e propria frode, ma dell’omesso versamento dell’imposta incamerata in via di rivalsa da parte della stessa società fornitrice. Dopo due gradi di giudizio in cui la ricorrente è risultata vittoriosa, la Cassazione ha ribaltato le sorti della vicenda, dando ragione all’Agenzia.

Il punto centrale evidenziato dall’Amministrazione finanziaria – e considerato rilevante nel giudizio di legittimità – è rappresentato dallo stretto rapporto familiare tra il soggetto che ha operato la detrazione e i soci della società emittente le fatture: questi ultimi erano rispettivamente marito e cognato del ricorrente. Ora, secondo l’Agenzia delle Entrate, tale legame familiare, unito alla sistematicità e gravità degli omessi versamenti d’imposta da parte della società emittente, costituiva un elemento indiziario grave, preciso e concordante, idoneo a suffragare la conoscenza o, quantomeno, la doverosa conoscibilità dell’evasione “a monte”. La Suprema Corte ha condiviso la tesi espressa dall’amministrazione finanziaria, ritenendola in linea con i principi unionali in tema di lotta all’evasione e di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto.

Il principio di neutralità costituisce un elemento cardine del sistema IVA europeo, garantendo che il tributo gravi effettivamente sui consumatori e non sulle imprese che operano come intermediari nella catena di distribuzione: ne consegue che il diritto alla detrazione, in linea di principio, non può essere limitato. Ciò però non equivale a dire che esso sia assoluto: infatti la CGUE ha costantemente affermato che l’applicazione della normativa comunitaria non può estendersi fino a comprendere i comportamenti fraudolenti degli operatori economici, preordinati unicamente a beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario (si vedano in tal senso le sentenze 11 ottobre 1977, causa 125/76, Cremer, Racc. pag. 1593, punto 21; 3 marzo 1993, causa C-8/92, General Milk Products, Racc. pag. 1-779, punto 21, e Emsland-Starke, causa C- 110/99, punto 51; 12 maggio 1998, causa C-367/96, Kefalas e a., Racc. pag. 1-2843, punto 20; 23 marzo 2000, causa C-373/97, Diamantis, Racc. pag. 1-1705, punto 33; 3 marzo 2005, causa C- 32/03, Fini H, Racc. pag. 1-1599, punto 32). Anzi, la lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla stessa Direttiva IVA (cfr. sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C-487/01 e C- 7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep, Racc. pag. 1-5337, punto 76). Tale situazione ricorre pure quando il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA. In circostanze del genere, il soggetto passivo interessato deve essere considerato, ai fini della sesta direttiva, partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle (in tal senso, cfr. sentenze Bonik, C‑285/11, EU:C:2012:774, punti 38 e 39 e giurisprudenza ivi citata, e Maks Pen, C‑18/13, EU:C:2014:69, punto 27). L’onere della prova circa la scientia fraudis spetta comunque all’amministrazione finanziaria. Questi principi sono stati fatti propri anche dalla Cassazione (ex multis si veda la recente Ordinanza n. 9684 del 14/04/2025 e la giurisprudenza ivi citata).

Poste tale direttive, tornando al caso in esame, secondo la Suprema Corte ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione “non è, quindi, necessaria una situazione di frode – come nel caso di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti – essendo sufficiente anche la conoscenza o doverosa conoscibilità di una situazione di evasione del versamento dell’IVA applicata in rivalsa da parte del cedente, da apprezzare nell’ambito dell’intero quadro probatorio. Difatti, se è vero che il cessionario non è, in generale, obbligato ad accertarsi del versamento dell’IVA che gli è addebitata in rivalsa dal cedente, è altrettanto vero che il valore di tale regola trova il proprio fondamento e limite nel principio di neutralità dell’IVA”.

Sarebbe pertanto possibile distinguere due casistiche:

– Nelle fattispecie caratterizzate da una assoluta estraneità e dall’assenza di qualsivoglia collegamento, l’imperativo di assicurare piena efficacia e concreta attuazione al principio di neutralità impone di riconoscere il diritto alla detrazione, quand’anche il soggetto cedente non abbia provveduto al materiale versamento dell’IVA applicata in rivalsa sul cessionario.

– Per contro, qualora gli assetti societari o i vincoli personali e familiari tra le parti siano idonei a consentire – sulla base di una valutazione complessiva e convergente del materiale probatorio disponibile, effettuata alla luce dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 c. 2 c.c. – di attribuire al cessionario la piena consapevolezza in merito all’omesso versamento dell’imposta addebitata in rivalsa dal cedente, si configura una situazione inquadrabile nel concetto di evasione richiamato dalla giurisprudenza europea. Tale scenario rappresenta una deroga al principio di neutralità e rende pertanto legittimo il disconoscimento del diritto alla detrazione esercitato dal cessionario.

Preme ancora sottolineare come presupposto della negazione della detrazione non sia stato l’omesso versamento in sé, ma la sua preordinazione all’ulteriore scopo di ottenere un vantaggio fiscale indebito, nel caso di specie la formazione di un credito IVA in capo al cessionario e il finanziamento dell’attività imprenditoriale a spese dell’Erario da parte del cedente.

A parere dello scrivente l’ordinanza della Suprema Corte si pone in perfetta armonia con i consolidati indirizzi ermeneutici tracciati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La peculiarità e, per certi versi, l’aspetto di maggior risalto della pronuncia in commento risiede semmai nell’enfasi posta nel fatto dell’omesso versamento dell’imposta, dove l’attenzione giurisprudenziale si è solitamente concentrata sulle ipotesi di “frode carosello” o comunque su contestazioni basate sull’inesistenza (oggettiva o soggettiva) delle operazioni fatturate.

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