Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Per il recupero di crediti esteri il decorso del quinquennio non comporta la decadenza


La Cassazione, con l’ordinanza n. 13279/2025, si è nuovamente pronunciata sulla disciplina relativa all’assistenza reciproca tra Stati membri in materia di recupero di crediti tributari.
Guardando al caso di specie, la disciplina sub iudice sulla mutua assistenza dei crediti tributari esteri è quella (applicabile ratione temporis) di cui alla direttiva n. 2001/44/Ce recepita nel nostro ordinamento dal DLgs. n. 69/2003, successivamente abrogata (a far data dal 1° gennaio 2012) dalla direttiva 2010/24/Ue recepita dall’Italia con il DLgs. 149/2012.
La norma di natura transitoria di cui all’art. 18 del citato DLgs. 149/2012 prevede che alle procedure di recupero avviate anteriormente al 1° gennaio 2012 (come nel caso) continuino ad applicarsi le disposizioni previste dal precedente DLgs. 69/2003.

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La controversia riguarda una cartella di pagamento notificata a un cittadino italiano per il recupero di un credito fiscale vantato da un altro Stato membro Ue (nel caso, la Germania). Il contribuente impugnava la cartella ottenendo l’accoglimento del ricorso con decisione della Commissione tributaria di primo grado, successivamente ribaltata dalla pronuncia del giudice di secondo grado, da cui la proposizione del ricorso per Cassazione.

Uno degli aspetti centrali sui quali la Corte si pronuncia riguarda la mancata allegazione della traduzione del titolo esecutivo dello Stato estero (richiedente l’assistenza a quello italiano). Nel dettaglio, con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente sosteneva che la cartella di pagamento fosse nulla per difetto di motivazione, in quanto non contenente l’allegazione del titolo esecutivo dello Stato estero richiedente. Diversamente, la Corte (rigettando il motivo) ribadisce il principio secondo il quale la cartella di pagamento (atto di riscossione “italiano”) deve fornire le indicazioni sufficienti a consentire al contribuente di valutarne l’impugnazione. Dovendosi, quindi, ritenere escluso l’obbligo di traduzione del titolo in detta (seconda) fase di riscossione, in quanto tale requisito deve essere rispettato solo nella (prima) fase di trasmissione della richiesta di assistenza tra gli Stati.

In particolare, in base all’art. 5 del DLgs. 69/2003 (richiamato dalla stessa Corte), è opportuno operare un distinguo tra due momenti: il primo, “interstatale”, che riguarda la trasmissione della richiesta di assistenza da uno Stato all’altro, regolata da norme europee e convenzioni internazionali che dispongono la trasmissione del titolo esecutivo e di altri eventuali documenti corredati con traduzione; il secondo, relativo invece alla riscossione “interna”, che riguarda la notifica della cartella di pagamento al contribuente, regolato dalla disciplina di diritto nazionale di cui al DPR 602/73.

Pertanto, l’obbligo di traduzione del titolo riguarda solo il momento della trasmissione della domanda di assistenza nel recupero del credito da uno Stato membro all’altro e non anche il momento (“puramente interno”) nel quale lo Stato (nel caso, l’Italia) procede al recupero effettivo in base alla procedura esattoriale e alla notifica della cartella di pagamento, regolate dalla citata normativa interna.

Detta impostazione risulta, oltretutto, coerente con l’art. 8 § 1 della direttiva 2001/44/Ce in base al quale il titolo esecutivo per il recupero (formato prima della notifica della cartella di pagamento) è riconosciuto direttamente e trattato automaticamente come strumento che consente l’esecuzione di un credito dello Stato membro in cui ha sede l’Amministrazione finanziaria adita.

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La Suprema Corte si pronuncia, infine, sul profilo relativo alla presunta decadenza dell’azione esecutiva a fronte del decorso del quinquennio tra la data in cui il credito è divenuto esigibile nello Stato richiedente e la data in cui è effettuata la domanda di assistenza al recupero allo Stato adito. I giudici di legittimità richiamano la disciplina unionale e quella di cui all’art. 8 del DLgs. 69/2003 (e i contenuti pienamente assimilabili delle fonti normative successive), affermando il principio di diritto in base al quale la norma non comporta alcuna decadenza o prescrizione del credito e della sua riscossione, provocando solo il “venir meno” dell’obbligo dello Stato italiano adito di prestare assistenza.

Analogamente alla precedente Cassazione a Sezioni Unite n. 34981/2023 (espressamente richiamata, avente ad oggetto la successiva disciplina del tutto assimilabile), la Suprema Corte fa leva sul dato letterale della norma che si limiterebbe a prevedere che l’assistenza “non ha luogo” nell’ipotesi di decorso del termine, rimanendo nella mera discrezione dello Stato adito procedere comunque nell’assistenza e non potendosi eccepire alcuna decadenza.

Si tratterebbe, in conclusione, non di un termine procedimentale, ma di un limite oltre il quale gli Stati possono ritenersi svincolati dall’obbligo di esecuzione (nel proprio territorio) di titoli formati in altri Stati oltre cinque anni prima in ragione di un accordo tra gli Stati membri volto a facilitare procedure di recupero extraterritoriale.



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