L’analisi in merito alla decisione dell’Amministrazione Trump di ridurre drasticamente i finanziamenti di USAID per l’assistenza allo sviluppo. Le stime dell’aumento della mortalità negli anni a venire, con milioni di decessi, e quel che Europa e Italia potrebbero fare
La caduta di USAID
La nuova Amministrazione Trump ha deciso di ridurre dell’83% i contratti del programma US AID di assistenza allo sviluppo. Nel 2024, i fondi totali spesi da US AID erano stati 32,5 miliardi di dollari, con un peso rilevante dell’Ucraina come ricevente, ma con una gamma di azioni di rilevanza globale. I fondi per l’aiuto in campo sanitario erano stati 8,9 miliardi, di cui 2,3 miliardi per HIV/AIDS, tubercolosi e malaria, e quelli per assistenza umanitaria 8,6 miliardi. L’interruzione dei programmi americani mette improvvisamente a rischio l’intero sistema degli aiuti globali destinati alla salute dei paesi riceventi, con effetti che sono già drammatici, soprattutto per i paesi più poveri.
Non è ancora chiaro con precisione quanto di quel finanziamento sia stato effettivamente tagliato, ma secondo le stime la riduzione per il solo prossimo anno fiscale sarà di 9–10 miliardi di dollari, e potrebbe arrivare a 30–40 miliardi di dollari nei prossimi 3–5 anni. La sospensione o la riduzione di tali risorse si sta già traducendo in interruzione di servizi essenziali di diagnosi e terapia, perdita di capitale umano qualificato, contrazione dell’occupazione nel settore sociosanitario, incremento delle spese sanitarie a carico delle famiglie e crescita della povertà estrema. Una survey condotta dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) tra fine marzo e primi di aprile ha riportato che l’80% dei paesi (85 su 106) presenta un impatto tra severo e moderato in termini di interruzione dei servizi sanitari. Le aree del sistema sanitario più gravemente colpite includono: assistenza umanitaria, preparazione e risposta alle emergenze sanitarie, sorveglianza della salute pubblica e fornitura di servizi sanitari essenziali come, ad esempio, quello della lotta all’HIV/AIDS. Gli otto Paesi più a rischio imminente di esaurire le scorte di farmaci antiretrovirali (ARV) sono: Haiti, Kenya, Lesotho, Sudan del Sud, Burkina Faso, Mali, Nigeria e Ucraina. Di riflesso, un 24% dei paesi riporta un aumento delle spese a carico del paziente al momento dell’erogazione delle cure.
In assenza di provvedimenti alternativi, le proiezioni sulla mortalità sono allarmanti. Secondo uno studio di modellistica, riportato recentemente su Nature, l’eliminazione totale dei finanziamenti USA senza rimpiazzo potrebbe causare 25 milioni di morti evitabili nel periodo 2025-2040. Si tratterebbe di 15,2 milioni (da 9,3 a 20,8) di morti aggiuntive per AIDS. Più del 60% di queste morti si verificherebbero in 6 paesi africani, inclusi Mozambico, Nigeria e Uganda; 2,2 milioni di morti aggiuntive per tubercolosi; 7,9 milioni di morti infantili aggiuntive per altre cause, tra 40 e 55 milioni di gravidanze non pianificate in più e tra 12 e 16 milioni di aborti non sicuri4. I bambini africani sarebbero le vittime più a rischio: entro il 2030 2,8 milioni di bambini in più diventerebbero orfani solo a causa dell’AIDS.
L’interruzione improvvisa dei servizi di diagnosi e cura dell’HIV e della TB, probabilmente favorisce la diffusione della resistenza antibiotica a medio termine. I meccanismi sarebbero simili a quelli documentati in situazioni di shock esogeno quali dirottamento e razionamento dei farmaci precedentemente distribuiti, oppure del passaggio a farmaci di scarsa qualità, non bioequivalenti o a terapie di seconda linea.
Particolarmente drammatico si prospetta l’impatto legato alla riduzione dell’aiuto statunitense nell’ambito della lotta alla malnutrizione infantile, acuta e cronica, e alla fornitura di cibo nei contesti dell’emergenza umanitaria. La malnutrizione acuta severa rappresenta la forma più pericolosa di denutrizione infantile. È responsabile di circa 1 morte su 5 tra i bambini sotto i cinque anni e colpisce ogni anno oltre 13 milioni di bambini nel mondo. Senza un trattamento adeguato, garantito finora dai programmi nutrizionali, fino al 60% dei bambini colpiti rischia di non sopravvivere. In Sudan, quasi l’80% delle cucine di emergenza per la distribuzione di cibo è stato chiuso. In Etiopia, le scorte di alimenti nutrienti utilizzati per curare ogni anno circa un milione di bambini gravemente malnutriti si esauriranno entro maggio.
I programmi di sorveglianza delle malattie infettive a livello globale (es. HIV, TB, Ebola, Marburg, Lassa, Mpox, Influenza Aviaria, etc.) sono improvvisamente finiti in una situazione di stallo aumentando le debolezze dei sistemi sanitari circa la prevenzione e il controllo delle epidemie.
Oltre agli effetti immediati sull’erogazione dei servizi sanitari e nutrizionali, i drastici tagli al bilancio mettono a rischio anche altri elementi fondamentali delle infrastrutture sanitarie globali. Un esempio significativo è rappresentato dai Demographic and Health Surveys (DHS), il principale programma internazionale di indagini demografiche e sanitarie condotto a livello familiare negli ultimi 35 anni. I DHS hanno avuto un ruolo cruciale nella formulazione di politiche basate su dati concreti, nella pianificazione sanitaria e nel monitoraggio dei progressi e delle disuguaglianze in oltre 90 paesi, con impatti anche a livello globale.
Anche programmi fondamentali per la salute globale, come GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunizations), che sostiene le campagne di vaccinazione infantile nei Paesi più poveri e riceve circa il 15% del proprio budget da USAID, rischiano gravi ripercussioni: il ritiro del supporto degli Stati Uniti si tradurrebbe in 75 milioni di bambini non vaccinati e oltre 1 milione di vite perdute.
Un ulteriore ambito critico riguarda la ricerca scientifica: il taglio dei finanziamenti all’agenda di Salute Globale del National Institutes of Health (NIH) sta compromettendo lo sviluppo di progetti di ricerca strategici in tema di nuovi strumenti diagnostici e terapeutici, in particolare per HIV e Tubercolosi, realizzati in collaborazione con prestigiosi centri di ricerca in Sudafrica, Kenya e Uganda. Altri effetti, per lo più indiretti, riguardano gli aspetti sociali ed economici. Nel solo Mozambico, sono circa 20 mila i lavoratori locali, in gran parte professionisti sanitari, agenti comunitari, ricercatori, licenziati dall’oggi al domani a causa della soppressione degli aiuti americani. Situazioni simili si registrano anche in altri paesi come il Sud Africa, l’Uganda, la Tanzania, il Kenya e altri.
La riduzione della crescita economica dei singoli paesi rappresenta certamente uno degli effetti più rilevanti. Finanziamenti di USAID sostengono infatti progetti infrastrutturali, programmi di sviluppo agricolo, e iniziative per la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo delle piccole e medie imprese. La diminuzione degli investimenti in settori cruciali quali l’istruzione, l’energia, in aggiunta alla sanità, oltre a generare il peggioramento della qualità dei servizi ed una minore accessibilità agli stessi, si tradurrà nel rallentamento dello sviluppo del capitale umano. Tutto questo genererà aumento del debito, trovandosi i paesi costretti a ricorrere a nuovi prestiti. Molti programmi di USAID sono inoltre mirati alla riduzione della povertà attraverso aiuti diretti, programmi di microfinanza e supporto per mezzi di sussistenza. Un taglio a questi programmi condurrà ad un generale aumento dei livelli di povertà e ad una maggiore insicurezza economica per le popolazioni vulnerabili.
La Global Health 2050 Lancet Commission aveva già messo in evidenza la necessità di ri-focalizzare gli aiuti internazionali su due piani: i servizi di base e controllo delle malattie nei paesi più poveri; il finanziamento di ‘beni pubblici’ come la resistenza antimicrobica, la preparazione di fronte alle pandemie, la diffusione delle nuove tecnologie, con un approccio più orientato allo sviluppo delle capacità locali sostenute dell’aiuto interazionale.
La cancellazione dei programmi americani rende, da un lato, indispensabile tale processo di revisione, ma, dall’altro lato, crea nell’immediato un vuoto drammatico che chiama in causa il ruolo dell’Europa e dell’Italia nell’assistenza sanitaria ai paesi più poveri.
Il peso dell’Europa
Collettivamente, le istituzioni europee, attraverso il bilancio dell’Unione, e i 27 Stati Membri sono il principale attore di assistenza ufficiale allo sviluppo (ODA – Official Development Assistance) su scala globale. Nel 2023, hanno speso quasi 96 miliardi di dollari (circa 9 miliardi dalle istituzioni UE), pari al 42% del totale dei Pesi DAC (Development Assistance Council) e paesi non-DAC (Figura 1). La quota del Reddito Nazionale Lordo (RNL) spesa in assistenza allo sviluppo è stata dello 0,57%, ancora lontana dell’obiettivo dello 0,7% entro il 2030, ma molto superiore allo 0,24% degli Stati Uniti, che nello stesso anno hanno speso poco più di 61 miliardi di dollari. Questo ruolo di leadership collettiva delle UE è cresciuto nel tempo, ricordando che nel 2000 la quota del RNL era dello 0,34%, mentre gli Stati Uniti non hanno mai superato lo 0,24% (Figura 2). La frammentazione delle spese nazionali degli Stati UE ha ostacolato la comprensione di questo ruolo dominante e lo ha reso poco incisivo in termini di influenza internazionale. Nell’ambito del budget UE 2021-2027, le istituzioni UE avevano messo in campo 79,5 miliardi di € di assistenza allo sviluppo, latamente intesa, di cui oltre €29 miliardi per Africa Sub-Sahariana. Tuttavia, nella revisione a medio termine del bilancio UE sono stati ridotti di 2 miliardi di € gli stanziamenti per il NDICI (Neighbourhood, Development, and International Cooperation Instrument). Inoltre, già nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 24 giugno 2024 si lamentava un tendenziale rallentamento delle spese per ODA degli Stati Membri, in particolare verso i paesi più poveri (Least Developed Countries), che avevano ricevuto solo lo 0,10 % del RNL delle UE nel 2022.
Secondo elaborazioni recenti (2024) di Global Health Advocates, basate su dati Donor Tracker, l’assistenza in campo sanitario ha un peso marginale nelle allocazioni delle istituzioni UE. I fondi dedicati al settore salute sono stati, nel 2022, 1,6 miliardi di €, pari solo al 5% del totale ODA, in calo sul 2021 che tuttavia era stato condizionato dal COVID-19. Inoltre, tra i 10 principali riceventi ODA in campo sanitario solo quattro sfanno parte dei paesi classificati più poveri. Meno del 4% degli oltre 10 miliardi destinati all’Africa Sub-Sahariana sono in area sanitaria. In confronto, alcuni paesi EU quote più alte in salute, circa il 10% del totale delle spese ODA nel caso di Italia e Germania, e 9% per la Francia. Il dato sale al 12% per il Regno Unito e raggiunge il 27% per gli Stati Uniti, che spendevano meno dell’aggregato UE ma spendevano molto in assistenza per la sanità. Tuttavia, già nel 2023 gli Stati Uniti erano calati a 9 miliardi di dollari di assistenza internazionale per la sanità rispetto ai 17,5 miliardi del 2022.
In sintesi, si assiste ad un rallentamento della propensione della UE a spendere in assistenza allo sviluppo, con una quota strutturalmente bassa della componente sanitaria. Questo raffreddamento dell’impegno europeo ha già stimolato diverse prese di posizione, tra cui quelle di diverse ONG, in particolare di fronte all’avvio delle proposte per il bilancio dell’Unione 2028-2024, le cui priorità paiono condizionate dal nuovo quadro internazionale e dal riarmo.
Il peso dell’Italia
L’Italia, con 6.1 miliardi di dollari nel 2024, è l’ottavo maggior donatore nazionale al mondo, ma è uno tra i paesi dell’Unione con la più bassa percentuale di RNL dedicata a spese ODA, pari a solo 0,27%, confrontabile con uno 0,82% della Germania e 0,48% della Francia (Figura 3).
Secondo dati Donor Tracker, l’Italia ha speso in ODA per la salute 400 milioni nel 2024, circa il 7% del suo totale ODA, con un calo significativo sul 2022, quando la quota era stata dell’11%. La spesa è distribuita su un gran numero di tipologie, con un certo peso delle infrastrutture e cure mediche di base e dei servizi medici (Figure 4, 5, 6). Nel 2024, il Governo italiano ha lanciato il Piano Mattei per l’Africa, composto da progetti di cooperazione gestiti da imprese italiane in nove paesi africani. La salute è uno dei cinque pilastri, insieme a istruzione e formazione, agricoltura, acqua ed energia – a cui si è aggiunto il sesto, quello delle infrastrutture fisiche e digitali.18 Dei 5,5 miliardi di euro stanziati dal Governo italiano, non vi è stata una precisa definizione ex ante delle allocazioni sui diversi pilastri, essendo il piano strutturato per progetti, ma quelli sulla salute hanno un peso piuttosto limitato.
Secondo la Relazione sullo stato di attuazione del Piano Mattei,20 ad ottobre 2024 erano in campo, per l’intero Piano, 21 macro-progetti in varie fasi di attuazione. Progetti specifici per la salute erano in corso in Costa d’Avorio (medicina materno-infantile) e Marocco (telemedicina) (Figura 7). Il 19 maggio la Cabina di Regia del Piano ha confermato l’estensione del campo di intervento ad altri 5 paesi africani (Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal).
Il principale limite del Piano riguarda le risorse iniziali stanziate. Secondo IAI (2024), tale limitazione potrebbe essere in parte superata collocando il Piano in una cornice finanziariamente più solida in ambito UE, in particolare attraverso il Global Gateway, che può contare su un pacchetto dichiarato di 150 miliardi di euro di investimenti europei in Africa. Su tale connessione, il 20 giugno è previsto un vertice tra il Governo italiano e la Commissione Europea. Tuttavia, lo stesso Global Gateway europeo è soggetto al raffreddamento di allocazioni prima descritto.
Una nuova Leadership dell’Europa e dell’Italia per la Salute Globale
Mentre la caduta verticale degli aiuti totali e sanitari US AID crea una situazione drammatica in moti paesi poveri, l’assistenza allo sviluppo della UE è in tendenziale stallo se non in arretramento. Allo stesso tempo, il debole ruolo strutturale dell’Italia, con soltanto uno 0,27% del RNL dedicato all’assistenza allo sviluppo e una bassa quota dedicata alla salute, non sembra superato dal coraggioso impegno dell’Italia per l’Africa attraverso il Piano Mattei, che ha debole finanziamento rispetto agli obiettivi e non comprende una chiara priorità dell’intervento sulla salute. A completare il quadro, interviene la rottura strutturale degli equilibri di potenza nel sistema internazionale, che porta Europa e l’Italia verso priorità di allocazione delle risorse pubbliche verso la difesa, con un potenziale spiazzamento di altre priorità delle politiche pubbliche. Interviene inoltre uno shock macroeconomico globale innescato dalle politiche commerciali degli Stati Uniti, che avrà nei paesi più poveri i maggiori perdenti. Questa combinazione rischia di tradursi in uno scenario drammatico per la salute nei paesi più poveri, con conseguenze umane inaccettabili e durature.
Di fronte a tale scenario, è opportuno un rapido cambiamento di rotta dell’Europea e dell’Italia, che possono occupare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti nell’assistenza allo sviluppo e in particolare quella nel settore sanitario. Nel tentativo di trovare un nuovo ruolo e posizionamento nel sistema internazionale, è opportuno che Europa e Italia aumentino il loro ruolo come donatori internazionali, in particolare nel settore della salute e negli interventi di urgenza a sollievo della crisi sanitaria che si è innescata.
Oltre che a fondamentali motivazioni etiche e di solidarietà, ciò risponderebbe ad interessi strategici dell’Europea e dell’Italia nei confronti di paesi poveri che stanno anch’essi cercando un nuovo posto in un sistema interazionale in subbuglio e sono, in molto casi, fonte di pressioni migratorie verso l’Europa e l’Italia.
Un rilancio delle strategie di cooperazione e assistenza allo sviluppo in questa fase, con una forte focalizzazione sugli aiuti sanitari, che sono di utilità vitale e massima sensibilità per chi li riceve, offrirebbe un’opportunità di aumentare la reputazione dell’Europa e dell’Italia come attori globali per lo sviluppo umano, con forti benefici per l’Europa e l’Italia nella loro capacità di attivare nuove alleanze internazionali in paesi ed aree emergenti. In particolare, per l’Italia, tale orientamento sarebbe coerente con la ricerca di un nuovo e più forte ruolo geopolitico mediterraneo e di forte interlocutore dell’Africa.
Concentrare gli sforzi sugli aiuti sanitari e presentarsi in prima linea nell’offrire supporto sanitario di qualità, dal rafforzamento dei sistemi sanitari locali alla formazione del personale medico e alla fornitura di vaccini e farmaci essenziali, posizionerebbe l’Italia tra gli attori responsabili e affidabili all’interno del panorama politico internazionale. Un impegno attivo nel settore sanitario può inoltre aprire nuove opportunità economiche per le imprese italiane nel campo farmaceutico e delle tecnologie mediche innovative, ed estendersi ad altri settori quali ad esempio quello della ricerca scientifica.
A causa dei tempi ristretti del disimpegno statunitense, il tema di interventi di aiuto ai Paese a basso reddito si pone, in questo momento, in termini di emergenza. Tuttavia, non si devono dimenticare i rischi legati a una politica di aiuto, quali la distorsione dei servizi sanitari, la creazione di uno stato di dipendenza cronica, la mancanza di stimolo a una crescita e autonomizzazione dei Paesi. Ad esempio, il continente africano dipende per il 99% da vaccini prodotti in altri continenti, inclusa Asia (India) e America Latina (Brasile, Cuba). Perciò a un intervento di natura emergenziale che affronti la situazione creata del taglio di USAID si deve accompagnare un impegno programmato a medio-lungo termine di capacity building nei paesi e nelle comunità riceventi.
Nel caso dell’Africa, è necessario che l’Europa e l’Italia sostengano attivamente un processo di vera appropriazione africana (ownership) della cooperazione sanitaria. La drammatica fase attuale offre al continente africano una rara opportunità per costruire sistemi sanitari nazionali integrati, resilienti e pienamente allineati con le priorità locali. In tale contesto, l’ownership africana si configura come una leva fondamentale per superare la frammentazione prodotta da interventi verticali ed eterodiretti, e per ridurre la dipendenza strutturale dai modelli sanitari imposti dall’esterno.
Questo approccio non solo risponderebbe all’imperativo umanitario del riconoscimento della salute come diritto fondamentale dell’uomo, ma si tradurrebbe in benefici tangibili in termini di stabilità politica, e permetterebbe di colmare il vuoto lasciato nel campo della cooperazione dagli attori supportati da USAID, a beneficio delle popolazioni oggetto degli interventi e della formulazione di nuove alleanze strategiche.
* articolo di: Alberto Mantovani e Roberto Zoboli della Commissione Salute dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Giovanni Putoto dei Medici con l’Africa Cuamm.
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