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Perché serve un piano di sviluppo dell’economia industriale Nella foto: Emanuele Orsini. [
Alessandro Holneider – Archivio Ufficio Stampa PAT]

Dopo quattro giorni di dibattiti e oltre 300 eventi, il Festival dell’Economia di Trento si è chiuso tornando alla riflessione di partenza, quella che ha portato a dare il titolo a questa ventesima edizione: l’Europa è davvero al bivio, e l’Italia, se vuole tornare a giocare un ruolo da protagonista, deve riportare al centro la sua economia industriale.
Lo afferma con forza Orsini, in un dialogo con Tamburini che ha messo in luce dati e fatti. Tra questi: la manifattura italiana in difficoltà da quasi due anni, il PIL non in caduta libera solo grazie ai servizi, mentre settori chiave come auto e moda soffrono tra crisi dei mercati ed eccessiva burocrazia. “Non possiamo permetterci di deindustrializzare l’Europa”, ha ammonito Orsini.

L’allarme è doppio, a causa del recente annuncio degli Stati Uniti sull’imposizione di dazi al 50%; per quanto riguarda l’Italia, l’esportazione di beni è pari a circa 626 miliardi di euro a livello globale, e una grossa fetta di questi arriva dagli USA. Orsini sottolinea come perdere un mercato strategico come quello statunitense rappresenterebbe un danno rilevante. Anche perché, con l’Oriente, il saldo commerciale oggi è negativo: la Cina esporta in Italia molti più prodotti di quanti ne importi. Bisogna però considerare che, se Washington dovesse davvero irrigidire i rapporti commerciali con Pechino, è probabile che la Cina cerchi nuovi sbocchi in Europa, con un ulteriore afflusso di prodotti nel nostro mercato. Su questo punto, Orsini si accende: questa è un’opportunità per il nostro Paese e per l’UE per aprirsi a nuovi mercati e rilanciare la propria competitività.

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Ci sono poi fronti su cui le industrie europee sono più virtuose del resto del mondo: due imprenditori su tre si dichiarano attenti all’ambiente e i dati lo dimostrano. Il settore industriale europeo contribuisce al 15% del PIL mondiale, ma è responsabile solo del 6% delle emissioni globali di gas serra. Un risultato che riflette scelte tecnologiche e gestionali orientate alla sostenibilità.
Tuttavia, proprio questo sforzo ha un costo. La competizione globale non premia sempre chi investe nella transizione verde: le imprese italiane, ad esempio, si trovano a pagare l’energia più cara, operano in un quadro normativo spesso più rigido rispetto ad altri Paesi e devono confrontarsi con una burocrazia lenta. Sul tema burocrazia, Tamburini cita Giulio Tremonti: “Mettendo in fila tutte le regole europee si arriva alla bellezza di 150 chilometri”. La sfida, dunque, è duplice: continuare a essere leader nella sostenibilità senza perdere terreno in termini di competitività, tra le altre cose accelerando e alleggerendo i processi burocratici che penalizzano le imprese italiane.

Si passa quindi a un’altra questione spinosa: le cosiddette “micro-imprese”. Sulle 4,3 milioni di imprese in Italia, solo 250.000 superano i 9 dipendenti. Orsini spiega che questo dato evidenzia la necessità di favorire aggregazione, innovazione e formazione all’interno del tessuto produttivo. Il presidente di Confindustria sottolinea quindi l’urgenza di una visione strategica chiara: bisogna aiutare le imprese ad aggregarsi e a guardare più lontano, in termini di mercati perseguibili.
Eppure, non si può pensare che un’impresa apra un nuovo mercato senza un supporto adeguato: “Le aziende sono già in difficoltà. Servono aiuti per l’internazionalizzazione”, avverte Orsini, che menziona alcuni mercati oggi strategici: Emirati Arabi, Messico, India e Giappone.

Il dialogo si avvia verso la conclusione con un tema che è stato al centro del dibattito durante tutto il Festival, su cui Orsini ribadisce una posizione ampiamente condivisa da imprenditori, accademici ed esperti del settore: l’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità importante, soprattutto per le PMI, che devono poter accedere a queste tecnologie per aumentare produttività e competitività. Con una specifica: “Abbiamo perso il treno orizzontale, ma possiamo essere leader nella specializzazione verticale, quella legata alle filiere”, spiega.

Infine, dopo aver richiamato l’attenzione sulla sfida demografica e sull’importanza di attrarre giovani formati all’estero e creare condizioni favorevoli alla loro qualità della vita e del lavoro, la chiusura di Orsini è un appello alla responsabilità politica: accanto a una programmazione seria e a una strategia di lungo termine basata su investimenti e semplificazioni, per rilanciare l’industria italiana ed europea servono governi stabili.



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