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Commercio globale sotto pressione: i costi non tariffari superano i dazi


Nel mondo iperconnesso del commercio internazionale, le barriere tariffarie non sono più l’unico ostacolo agli scambi globali. Al contrario, la vera pressione sui costi commerciali oggi proviene da un complesso reticolo di misure tecniche, regolamenti sanitari e difese commerciali che, pur non essendo formalmente protezionistiche, condizionano in modo crescente flussi, tempi e strategie delle imprese esportatrici.

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Secondo gli ultimi dati aggiornati al 2023, circa due terzi del commercio mondiale è soggetto a misure tecniche di regolamentazione, mentre le misure sanitarie e fitosanitarie (SPS) interessano la quasi totalità dei prodotti agricoli. Questi requisiti, spesso imposti con l’obiettivo dichiarato di tutelare la salute pubblica e l’ambiente, comportano in realtà un impatto economico significativo, traducendosi in costi di conformità superiori a quelli dei dazi tradizionali.

Il confronto tra costi tariffari e costi di conformità è sempre più netto. Mentre i dazi medi restano relativamente contenuti — al di sotto del 2% nei paesi sviluppati e attorno al 4% nei paesi in via di sviluppo — l’adozione di misure tecniche e difensive si è intensificata. In particolare, le misure di difesa commerciale, come dazi antidumping e misure compensative, sono cresciute significativamente, sebbene concentrate in specifici comparti industriali. Settori come l’acciaio, il tessile e l’agroalimentare sono tra i più esposti.

Non a caso, la maggior parte di queste misure proviene proprio dalle economie avanzate e dalle principali potenze emergenti, che usano tali strumenti per proteggere settori sensibili o strategici, spesso in risposta a pratiche considerate sleali da parte di paesi concorrenti.

Nonostante la progressiva liberalizzazione del commercio multilaterale, gli scambi tra paesi in via di sviluppo — i cosiddetti rapporti Sud-Sud — continuano a essere caratterizzati da dazi relativamente elevati. Questa situazione ostacola l’integrazione economica delle regioni meno sviluppate, rallentando i benefici derivanti dalla globalizzazione.

In questo contesto complesso, l’integrazione economica non si arresta ma cambia forma. Negli ultimi anni, si è assistito a un’espansione dei cosiddetti accordi commerciali preferenziali (PTA), stipulati su base bilaterale o regionale. A partire dal 2023, oltre la metà degli scambi mondiali avviene tra paesi legati da qualche forma di PTA.

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Non si tratta più solo di accordi tariffari. I PTA di nuova generazione includono anche capitoli su servizi, investimenti, standard ambientali, proprietà intellettuale e regolamenti digitali. In pratica, si stanno trasformando in veri e propri strumenti di governance economica globale, spesso più vincolanti e influenti rispetto ai negoziati multilaterali sotto l’egida del WTO.

La tendenza in atto suggerisce una ridefinizione delle regole del commercio globale: meno affidamento sui dazi e più enfasi sulle norme e sugli standard. Per le imprese esportatrici, ciò implica un crescente fabbisogno di competenze tecniche e giuridiche per gestire la compliance internazionale. Per i decisori politici, invece, si tratta di un terreno sempre più strategico, dove la politica commerciale si intreccia con le sfide ambientali, digitali e di sicurezza economica.

Il quadro che emerge è quello di un commercio internazionale sempre più regolato, meno lineare e più competitivo. In cui, al posto delle semplici barriere tariffarie, si erge una complessa architettura normativa che premia chi ha la capacità di adattarsi e innovare.



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