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Cresce l’ambizione italiana nell’Artico | ISPI


La recente visita in Norvegia del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, culminata nella firma di una dichiarazione congiunta di cooperazione su spazio, difesa e materie prime critiche, rappresenta l’ultimo segnale di un coinvolgimento sempre più attivo da parte dell’Italia nella geopolitica e geoeconomia dell’Artico. Non si tratta di un interesse improvviso: la regione figura da anni tra i dossier della politica estera italiana, come dimostrano l’adozione della Strategia Italiana per l’Artico nel 2015 e, più recentemente, l’avvio di una indagine conoscitiva sulla geopolitica artica da parte della 3° Commissione Esteri della Camera dei Deputati nel febbraio 2025, e tuttora in corso.

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In realtà, la presenza italiana nel Grande Nord affonda le radici nel tempo, specialmente per quanto concerne l’ambito scientifico. Una serie di progetti di ricerca italiani attivi regionalmente da diversi anni hanno consolidato una presenza riconosciuta a livello internazionale. È anche grazie a questo impegno che, nel 2013, l’Italia ha ottenuto lo status di osservatore permanente nel Consiglio Artico e istituito, presso la Farnesina, un Tavolo Artico guidato da un Inviato Speciale (oggi, l’Ambasciatore Agostino Pinna). Accanto alla dimensione scientifica, si è sviluppata anche una rilevante presenza industriale. Diverse aziende italiane operano nella regione in settori strategici come l’energia (ENI) e la difesa (Fincantieri, Leonardo), contribuendo a rendere l’Artico un’area di crescente interesse per Roma.

In questo contesto, i profondi cambiamenti climaticiambientali geopolitici che attraversano l’Artico rappresentano per l’Italia non solo una sfida, ma anche un’opportunità. L’apertura di nuove rotte marittime, la crescente accessibilità delle risorse energetiche e minerarie (come nichel, platino, palladio, litio, terre rare ed altri), e le tensioni tra le grandi potenze per il controllo delle aree polari impongono a Roma una riflessione strategica. Anche l’Italia, oggi, è chiamata a giocare un ruolo nella partita artica.

La diplomazia scientifica 

L’interesse dell’Italia per l’Artico affonda le radici alla fine del XIX secolo, con la spedizione oceanografica del Duca degli Abruzzi verso il Polo Nord del 1899, seguita dalle celebri missioni di Umberto Nobile nel 1926 1928 a bordo dei dirigibili Norge e Italia. Mentre la prima raggiunse con successo il Polo, la seconda si concluse tragicamente, causando la morte di parte dell’equipaggio. In memoria di quella spedizione, nel 1997 è stata inaugurata la base scientifica Dirigibile Italia, nei pressi di Ny-Ålesund, sulle isole Svalbard. Gestita dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), la base è tuttora attiva e rappresenta un punto di riferimento per lo studio del clima, del mare e dell’ambiente artico.

Per rafforzare la propria presenza scientifica nella regione, il governo italiano ha istituito nel 2018 il Programma di Ricerche in Artico (PRA), che finanzia progetti nazionali in ambito ambientale e climatico. Anche le forze armate partecipano alle attività di ricerca: dal 2017, l’Istituto Idrografico della Marina Militare coordina il programma High North, volto a mappare le condizioni oceanografiche delle acque artiche.

Questa presenza continuativa, da parte di organismi scientifici e militari, ha consentito all’Italia di inserirsi nei principali consessi scientifici internazionali, tra cui l’International Arctic Science Committee (IASC), il Sustaining Arctic Observing Network (SAON), l’Arctic Science Ministerial Meeting (ASM) e l’European Polar Board. Grazie a questi strumenti di cooperazione, il nostro Paese ha costruito nel tempo un profilo autorevole e rispettato nella comunità scientifica artica, ponendo le basi per un coinvolgimento più ampio nei processi diplomatici e multilaterali della regione.

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L’Italia nella governance multilaterale artica

Questo percorso di consolidamento ha portato, nel 2013, al riconoscimento dell’Italia come  osservatore permanente nel Consiglio Artico, insieme a Cina, India, Giappone e altri Stati non artici. Un tassello cruciale, che ha segnato il passaggio da una presenza prevalentemente scientifica a un coinvolgimento più esplicitamente politico-diplomatico. Fondato nel 1996, il Consiglio Artico è il principale organismo di governance multilaterale della regione, composto dagli otto Stati “artici” (Stati Uniti, Russia, Canada, Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia e Islanda). Il forum promuove la cooperazione in vari ambiti: scientifico, ambientale, economico e sociale, con particolare attenzione alla tutela delle popolazioni indigene.

L’interesse crescente dell’Italia si era già manifestato nel 2011, con l’istituzione del Tavolo Artico presso il Ministero degli Affari Esteri: un organismo di coordinamento istituzionale che coinvolge enti scientifici, amministrazioni pubbliche e imprese italiane attive nella regione. Questo lavoro ha portato alla definizione di un documento intitolato “Verso una Strategia Italiana per l’Artico”, pubblicata nel 2015 e aggiornata negli anni successivi, che definisce cinque assi strategici per gli interessi nazionali nella regione artica: coinvolgimento politico-diplomatico, protezione ambientale, tutela delle popolazioni locali, cooperazione scientifica e investimenti economici (in particolare in ambito energetico).

Negli ultimi anni, l’Italia ha intensificato i rapporti bilaterali con i Paesi artici e promosso iniziative con rappresentanze delle popolazioni indigene, come il Consiglio Sami, depositarie di conoscenze preziose per quanto concerne la sostenibilità ambientale, la ricerca e la lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, se la diplomazia scientifica ha permesso all’Italia di accreditarsi come attore responsabile nella regione, la sua presenza e attivismo nella governance multilaterale l’ha resa sempre più rilevante nello scenario regionale. In particolare, è sul fronte energetico che emergono con più forza le implicazioni economiche e strategiche della sua presenza artica; e in questo ambito, gli interessi italiani sono tutt’altro che marginali.

Energia e materie prime

L’Artico è una regione particolarmente ricca di risorse naturali: idrocarburi come gas naturale e petrolio, ma anche terre rare (di cui aree artiche come la Groenlandia o parti della Scandinavia sono ricche) e altri minerali strategici fondamentali per la transizione energetica globale. Secondo uno studio dello US Geological Survey del 2008, proprio nell’Artico si troverebbero circa il 30% del gas naturale e il 13% del petrolio ancora non scoperti a livello globale. Anche l’Italia ha riconosciuto l’enorme potenziale della regione e, nella propria Strategia per l’Artico, ha posto la questione energetica tra gli assi centrali di interesse, sottolineando però al contempo la necessità di conciliare le opportunità estrattive con la salvaguardia di un ambiente tra i più fragili del pianeta.

Non si tratta solo di prospettive future: da decenni l’Italia importa idrocarburi dalla regione artica. Nel 2020, circa la metà delle importazioni italiane di gas naturale provenivano da Russia (40%) e Norvegia (10%), mentre il petrolio artico rappresentava circa il 16% del totale delle importazioni. Lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022 ha cambiato drasticamente questo quadro: le sanzioni europee hanno portato l’Italia a ridurre quasi a zero le importazioni dalla Russia, spingendo verso una diversificazione delle fonti. In questo nuovo scenario, il ruolo della Norvegia è diventato centrale: le esportazioni norvegesi verso l’Italia sono aumentate significativamente, coprendo il 6,5% del totale delle importazioni di gas naturale nel 2023 (con un picco dell’8,6% nel 2022). A testimonianza di questo legame, è proprio una grande azienda italiana a rappresentare uno degli attori più attivi nello sfruttamento delle risorse artiche: ENI, attraverso la sua società controllata norvegese Vår Energi, è presente con importanti operazioni offshore nel Mare del Nord, nel Mar di Norvegia e nel Mare di Barents. Tra queste, spicca la piattaforma galleggiante Goliat, uno dei progetti più importanti nell’area, e il recente avvio (marzo 2025) della produzione nel grande giacimento Johan Castberg.

Oltre agli idrocarburi, l’attenzione italiana si estende anche alle terre rare, elementi cruciali per la transizione energetica europea. Nel 2024, l’azienda norvegese Rare Earths Norway (REN) ha annunciato la scoperta del più grande giacimento di terre rare in Europa, situato nel complesso carbonatico di Fen, nella contea di Telemark, con una stima di 8,8 milioni di tonnellate di ossidi totali di terre rare. Anche in risposta a questa scoperta, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha firmato un accordo con le autorità norvegesi per rafforzare la cooperazione bilaterale nel settore delle materie prime critiche, allo scopo di coinvolgere maggiormente le aziende italiane in progetti per la produzione di tali risorse e di creare una filiera sostenibile e sicura di approvvigionamento di terre rare, che possa andare a vantaggio di tutta l’Europa, oggi ancora fortemente dipendente dalle importazioni dalla Cina. A questo proposito, l’accordo con la Norvegia ha avuto anche l’obiettivo di aumentare gli investimenti del fondo sovrano norvegese in Italia, in particolare nei settori della green economy e delle tecnologie per la transizione energetica.

La proiezione energetica italiana nell’Artico, dunque, è ormai consolidata: tra forniture strategiche, investimenti industriali e cooperazione internazionale, l’Italia ha costruito una presenza credibile nella regione. Ma questa presenza comporta una sfida evidente: conciliare l’interesse per le risorse artiche con l’impegno dichiarato per la decarbonizzazione e la protezione dell’ambiente polare all’interno della propria strategia nazionale. L’Artico, in prima linea nel risentire degli effetti del cambiamento climatico, è anche al centro di nuove pressioni estrattive che rischiano di accelerarne la vulnerabilità. Per l’Italia, che si presenta come attore responsabile e promotore della cooperazione scientifica e ambientale, questa tensione rappresenta una sfida di coerenza nel dover coniugare i propri interessi energetici e gli impegni climatici assunti a livello nazionale ed europeo.

Difesa collettiva e sicurezza regionale

Come conseguenza del crescente coinvolgimento scientifico, politico ed economico dell’Italia nella regione artica, Roma ha iniziato a ricoprire un ruolo non marginale anche sul piano della sicurezza e della difesa collettiva. Ciò è diventato particolarmente evidente a seguito dei recenti mutamenti geopolitici: l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 e il conseguente ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia hanno lasciato la Russia come unico Stato artico non appartenente all’Alleanza Atlantica, contribuendo ad alimentare la “sindrome russa dell’accerchiamento” ed un conseguente forte aumento della tensione militare nella regione. L’Artico è oggi al centro di un’intensa militarizzazioneda parte di Mosca e dei paesi NATO, riflesso del suo crescente valore strategico: per il Cremlino esso rappresenta un “bastione difensivo” e il fulcro della propria capacità nucleare e base strategica per la propria proiezione marittima. Allo stesso modo, per gli Stati Uniti e i loro alleati, un’area da presidiare con attenzione, come più volte sottolineato anche da Donald Trump. 

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In questo contesto, l’Italia partecipa attivamente alla difesa collettiva, con un impegno ben più concreto di quanto ci si potrebbe aspettare da un paese non artico. La Marina Militare, con il programma High North, attivo dal 2017, concentra le proprie attività attorno all’arcipelago delle Svalbardnodo strategico per l’accesso marittimo all’Oceano Artico e per la sorveglianza di potenziali attività sottomarine. Negli ultimi anni la presenza militare italiana nella regione si è rafforzata anche attraverso le esercitazioni NATO. Marina e Aeronautica hanno partecipato a diverse edizioni della Cold Response, divenuta nel 2024 Nordic Response, principale simulazione militare dell’Alleanza nel Nord Europa, focalizzata su scenari di guerra artica. Più recentemente, a marzo 2025, truppe terrestri e alpine dell’Esercito Italiano hanno preso parte all’esercitazione Volpe Bianca, comprendente anche una sezione denominata Arctic Shield, volta ad addestrare le truppe di terra italiane al combattimento in ambienti estremi, come scenari montani e aree polari.

Anche l’industria della difesa gioca un ruolo rilevante. Leonardo ha partecipato nel 2019 al progetto ARCSAR (Arctic Security and Emergency Preparedness Network), in ambito di cooperazione su tecnologie per la sicurezza e la produzione di elicotteri, sistemi per il pattugliamento marittimo e per la comunicazione satellitare. Allo stesso modo, Fincantieri, tramite la controllata norvegese Vard, costruisce unità navali adatte alle nuove rotte artiche, sempre più importanti non solo per il commercio, ma anche per la protezione delle infrastrutture critiche e la sicurezza delle vie di comunicazione marittima.

La dichiarazione siglata poche settimane fa tra Italia e Norvegia per la cooperazione nell’ambito spaziale, volto a integrare Oslo nel sistema europeo IRIS-2, riflette il rafforzamento dei legami industriali e strategici tra Roma e i paesi nordici. In questa occasione il Ministro Urso ha dichiarato: “L’Italia è impegnata nella costruzione di alleanze industriali strategiche in Europa, in particolare con i Paesi del Nord particolarmente interessati a sviluppare partnership su materie prime critiche, spazio e difesa. In questo modo l’Italia definisce chiaramente la direzione strategica che prenderà nei prossimi anni in Artico: unire cooperazione industriale, investimenti in ambito energetico e nello sviluppo sostenibile della regione con maggiore coinvolgimento politico e centralità in ambito di difesa e sicurezza. 



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