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Piccole isole, un laboratorio per la transizione verde delle Cer


Territorio limitato e senso di appartenenza alla comunità degli abitanti fanno delle piccole isole italiane un laboratorio ideale per la sperimentazione delle comunità energetiche rinnovabili. Ma ostacoli di varia natura bloccano l’espansione.

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Comunità energetiche per la transizione verde

Quante sono oggi le comunità energetiche rinnovabili (Cer) costituite ed attive in Italia? Nessuno lo sa con esattezza. I dati sono discordanti anche tra Gse (Gestore servizi energetici) e Rse (Ricerca sul sistema energetico) che, evidentemente, attingono da fonti differenti. Di sicuro, siamo lontani dai grandi numeri ipotizzati all’indomani del recepimento della direttiva europea che ha introdotto questo concetto.

Sempre più spesso, si parla delle comunità Cer come di laboratoriche si prestano alla sperimentazione di strategie innovative nel percorso di transizione energetica. Lo ha fatto, nel 2021, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destinando alle isole non interconnesse una componente specifica della missione 2. L’investimento 3.1: Isole verdi (M2C1.3 Sviluppare progetti integrati)vuole “affrontare le principali sfide della transizione ecologica in modo integrato, concentrandosi su aree specifiche caratterizzate da un elevato potenziale miglioramento in termini ambientali/ energetici: le piccole isole”. Pertanto “gli investimenti saranno concentrati su 19 piccole isole che faranno da laboratorio per lo sviluppo di modelli 100 per cento green e auto-sufficienti”.

Il concetto è condiviso a livello europeo: la risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2022 sulle isole dell’Ue e la politica di coesione (2021/2079(INI) invita la Commissione ad adottare provvedimenti specifici in favore delle isole “considerando che sono in prima linea nel cambiamento climatico […]; che possono essere laboratori eccellenti per diversi processi di transizione ecologica e molti stanno mirando all’autonomia energetica attraverso le energie rinnovabili”.

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Su queste isole – laboratori per soluzioni innovative – possono quindi trovare spazio attori nuovi come le Cer, per dare una risposta adeguata all’endemico problema dell’approvvigionamento energetico. Perché le Cer ambiscono a essere il mezzo attraverso il quale le risposte si coniugano alle esigenze del territorio e promuovono la partecipazione di chi vi abita (“fornire benefici ambientali, economici o sociali ai suoi soci o membri o alle aree locali in cui opera” è l’obiettivo principale) e le isole sembrano rappresentare una buona palestra per misurarne le potenzialità.

Il rapporto 2025 sulla transizione ecologica delle isole minori

Il 28 maggio, Legambiente e l’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia) hanno presentato il rapporto 2025 sulla transizione ecologica delle isole minori, curato dall’Osservatorio Isole sostenibili. Non si tratta di una classifica tra isole, ma di una “fotografia dinamica che indichi la strada”. E infatti il rapporto ci restituisce l’istantanea di una condizione in evoluzione e ci offre il dato delle Cer: sulle isole minori se ne sono costituite cinque, due attive (all’Elba e ad Ischia), due ancora ai nastri di partenza (a San Pietro e Ventotene) e una appena formalizzata (a Procida) nell’ambito del progetto “Innovative Support for citizen-led Local Energy Transition – Life Islet”. Il dato potrebbe essere incoraggiante perché rappresenta il 20 per cento delle isole minori abitate, ma non lo è sino in fondo.

Intanto, le due Cer attive sono su isole interconnesse, ossia collegate alla rete elettrica nazionale della terraferma. Quindi, su tutte quelle off-grid, che rappresentano la situazione teoricamente ideale per testare le potenzialità delle Cer, tutto è immutato o quasi. San Pietro e Ventotene, poi, sono state rispettivamente caso pilota in un progetto europeo e uno tra i primi esempi di comunità energetica su un’isola e, dunque avrebbero dovuto rappresentare un terreno fertile per la diffusione e la realizzazione di nuove forme di produzione dell’energia da fonti rinnovabili.

Qualcosa è andato storto?

Senza dubbio, il quadro normativo non aiuta. Ci sono voluti più di tre anni per avere tutti i decreti attuativi e ancora quest’anno, la definizione di Cer è cambiata: dal 30 aprile prevede che tra i soggetti che detengono il controllo ci possano essere anche aziende territoriali per l’edilizia residenziale, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, aziende pubbliche di servizi alla persona, consorzi di bonifica. La questione non è di poco conto, perché si affaccia subito il dubbio che molte Cer già costituite debbano mettere mano allo statuto per adeguarsi alla novità legislativa. Insomma, l’incertezza continua a regnare sovrana.

Eppure, alle isole minori si è pensato al momento del recepimento della direttiva e, per questo, Arera ha previsto dal 2022 che, in deroga alla previsione generale, il requisito della connessione alla medesima cabina primaria (una delle oltre duemila infrastrutture della rete elettrica che trasformano l’energia da alta a media tensione sul territorio nazionale) non vale ai fini della incentivazione dell’energia condivisa prodotta da impianti inseriti nelle Cer, essendo il perimetro ampliato all’intero territorio isolano. Sembrerebbe una norma di favore, volta ad aggregare il territorio e chi vi abita, al di là delle suddivisioni tecniche della rete.

Ma non va dimenticato che in Italia esistono altri tipi di barriere: ad esempio, è possibile che su un’isola di 26 chilometri quadrati e 2.500 abitanti ci siano addirittura tre comuni, con tutte le parcellizzazioni che si possono immaginare (è il caso di Salina). Occorre, quindi, un’importante opera di “aggregazione”, che dovrebbe essere svolta dall’ente più prossimo al cittadino, per facilitare il processo.

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D’altra parte, incerto continua a essere anche l’approccio. Non c’è una visione d’insieme. Le isole minori compaiono nella cosiddetta “agenda” politico-istituzionale, ma non in modo organico. Il problema dell’approvvigionamento energetico è noto e, per questo, se ne occupano vari ministeri (quello delle Imprese e del made in Italy e quello dell’Ambiente, per esempio). Il rischio qual è? Che ognuno lo faccia dal suo angolo di visuale e che l’azione non sia omogenea. Come sempre, non servono provvedimenti isolati che, all’insaputa l’uno dell’altro, possono finire per essere confliggenti. Occorre una riflessione corale, anche con un nuovo dialogo fra energia e paesaggio, altra nota distintiva delle piccole isole.

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Daniela Pappadà



Daniela Pappadà è ricercatrice in Diritto Privato Comparato presso l’Università degli studi di Cagliari. Dopo la laurea in Giurisprudenza, ha conseguito il dottorato di ricerca in diritto privato comparato e diritto privato dell’Unione Europea presso l’Università degli studi di Macerata.



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