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Quando lo stress cronico da lavoro diventa risarcibile


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Il malessere dei dipendenti può costare caro alle aziende. Ecco come.

Il burnout non è semplice stanchezza: è una sindrome da stress lavorativo cronico, riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come fenomeno legato all’ambiente di lavoro.

I sintomi principali includono:

  • Esaurimento fisico ed emotivo;
  • Distacco mentale dal lavoro;
  • Sensazione di inefficacia e frustrazione.

A soffrirne sono soprattutto giovani professionisti, lavoratori digitali, operatori sanitari e dipendenti di settori ad alta pressione come finanza, consulenza, tech e logistica.

Numeri allarmanti: l’epidemia silenziosa del lavoro moderno

Secondo l’Eurofound, oltre il 25% dei lavoratori europei ha sperimentato sintomi da burnout nel 2023. In Italia, i dati INAIL mostrano un incremento del +30% delle denunce per disturbi psichici da lavoro negli ultimi 5 anni.

La pandemia e il boom dello smart working senza limiti hanno aggravato il fenomeno, rendendo sottile la linea tra vita e lavoro.

Stress da lavoro e risarcimenti: ecco quando si può chiedere un risarcimento

Sì, in alcuni casi il burnout può dare diritto a un risarcimento, soprattutto se dimostrabile come malattia professionale dovuta a condizioni lavorative tossiche o eccessive.

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Le condizioni che aprono alla responsabilità del datore di lavoro:

  • Turni eccessivi e carichi di lavoro sproporzionati;
  • Mancanza di pause o ferie;
  • Ambiente ostile o mobbing;
  • Assenza di formazione o supporto psicologico;
  • Obiettivi irrealistici imposti dall’azienda.

In questi casi, il dipendente può:

  • Denunciare la situazione all’INAIL;
  • Richiedere un’indennità temporanea o permanente;
  • Intraprendere azione legale per danni biologici e morali.

Casi concreti: il burnout in tribunale

Alcuni tribunali italiani hanno già riconosciuto il burnout come condizione risarcibile. Tra i casi più rilevanti:

  • Un impiegato pubblico a cui è stato riconosciuto un danno biologico per stress cronico derivante da turnazioni illegali;
  • Un operatore sanitario che ha ottenuto un risarcimento da parte dell’ASL per mancato supporto psicologico in fase pandemica;
  • Sentenze che condannano le aziende per condotte vessatorie e organizzazione aziendale inadeguata.

La giurisprudenza è ancora frammentata, ma il trend è in crescita.

Come devono reagire le aziende: prevenzione o contenzioso

Ignorare il burnout oggi non è solo un errore etico, ma anche economico. Un dipendente in burnout:

  • È meno produttivo;
  • Si assenta più spesso;
  • Può costare migliaia di euro in termini legali e reputazionali.

Le azioni chiave per i datori di lavoro:

  • Introdurre policy di benessere aziendale;
  • Formare manager su leadership empatica;
  • Offrire supporto psicologico interno;
  • Monitorare carichi di lavoro e livelli di stress;
  • Promuovere una cultura del disconnessione (soprattutto in smart working).

Stress da lavoro o burnout riconosciuto come malattia professionale

Alcuni esperti del lavoro e sindacati spingono per inserire il burnout nell’elenco ufficiale delle malattie professionali INAIL, rendendo più facile l’accesso ai risarcimenti.

In parallelo, cresce il movimento per una settimana lavorativa corta, maggiore flessibilità oraria e la valutazione dei rischi psicosociali nelle aziende, al pari di quelli fisici. Il burnout è il sintomo di un modello di lavoro insostenibile, e le aziende che lo ignorano rischiano non solo cause legali, ma la fuga dei talenti. Riconoscerlo, prevenirlo e affrontarlo non è più una scelta: è un investimento nella sostenibilità del business.



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