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I dazi colpiscono fiducia ed export. L’ennesima guerra rincara l’energia, peggiorando le attese


Un altro shock. Lo scenario, già complesso, è aggravato dall’aumento del prezzo del petrolio a causa del conflitto Israele-Iran. L’industria italiana ha tenuto a inizio 2° trimestre e gli indicatori sono migliorati per i servizi. Ma i dazi sull’export e l’incertezza stanno deteriorando la fiducia, brutto segnale per i consumi e gli investimenti. Positivo, invece, è il proseguire del taglio dei tassi nell’Eurozona.

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Risale il costo dell’energia. Il prezzo del petrolio, che da inizio 2025 era in calo per le attese indebolite sulla domanda globale determinate dai dazi, è bruscamente risalito sulla scia della guerra Israele-Iran (77 $/barile il 20 giugno, da 63 in media a maggio). Anche il prezzo del gas in Europa (TTF) è rincarato: 40 €/mwh, dal livello minimo di 34 a maggio, che era stato toccato dopo tre mesi di ribassi.

Credito in recupero. Il credito per le famiglie italiane è in aumento sempre più robusto (+1,3% annuo in aprile, da +1,1% a marzo), mentre quello per le imprese continua a registrare una variazione annua negativa (-0,8%, da -1,1%) anche se la dinamica degli ultimi mesi è tornata positiva. Il taglio dei tassi si è tradotto in un ribasso del costo del credito (3,8%, da 5,3% un anno prima).

Investimenti: attese in frenata. Gli investimenti hanno sorpreso in positivo nel 1° trimestre (+1,6%), con tutte le componenti in aumento (costruzioni, impianti-macchinari, ricerca). Per il 2°, tuttavia, gli indicatori sono deboli: a maggio, aumenta poco la fiducia delle imprese, su valori bassi; l’incertezza è elevata; gli ordini di beni strumentali sono negativi; le attese di nuovi ordini calano per il secondo mese.

Consumi: fiducia ancora in calo. Ad aprile l’occupazione è rimasta stabile ma a maggio la fiducia è scesa per il terzo mese consecutivo e lascia presagire la frenata della propensione al consumo. Difatti, le vendite al dettaglio crescono poco (+0,5% in aprile, +0,2% acquisito nel 2° trimestre) e le immatricolazioni di auto sono, di nuovo, in lieve flessione (-0,1% annuo a maggio).

Ripartono i servizi. Nel 1° trimestre i servizi hanno sorpreso in negativo (-0,1% il valore aggiunto), nonostante il turismo sia ripartito (+4,1% annuo la spesa di stranieri). Per il 2°, indicazioni favorevoli: il fatturato cresce in aprile secondo RTT (CSC-TeamSystem); a maggio, l’HCOB-PMI indica un irrobustimento (53,2 da 52,9) e la fiducia delle imprese ha recuperato in parte dopo i cali di inizio anno.

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Industria: stabilizzazione a rischio. In aprile la produzione è aumentata (+1,0%), iniziando bene il 2° trimestre (+0,4% nel 1°); i livelli però restano depressi, dopo il calo nel 2023 e 2024. RTT in aprile conferma il recupero dell’industria in termini di fatturato e l’indagine CSC mostra meno pessimismo a maggio. Tuttavia, i rischi da dazi sono alti per il settore e a maggio altri indicatori restano sfavorevoli: il PMI è di poco in area di contrazione (49,2 da 49,3), la fiducia delle imprese industriali recupera appena.

Frena bruscamente l’export. In aprile l’export italiano si è ridotto del 2,8% a prezzi costanti, a causa del crollo delle vendite verso i paesi extra-UE, mentre sono aumentate quelle verso i mercati UE. Pesa il front-loading verso gli USA avvenuto in marzo, per alcuni specifici prodotti: al netto di questo effetto, si stima una flessione meno ampia in aprile (-0,6%). Nell’insieme dei primi quattro mesi del 2025, comunque, l’export italiano resta in crescita (+3,2% rispetto ai quattro mesi precedenti).

Eurozona in rallentamento. Nell’Area-euro l’incertezza resta elevata e la fiducia ancora stagnante a maggio, su valori bassi. Ad aprile l’industria ha registrato un forte calo di produzione (-2,4%), che ha coinvolto tutti i nostri principali competitor (Germania -1,9%, Francia -1,4%, Spagna -0,9%); la variazione acquisita nel 2° trimestre, perciò, è negativa (-0,4% per l’Area). E a maggio i PMI manifatturieri sono tutti recessivi, ad eccezione della Spagna che è appena sopra la soglia neutrale.

USA: debole la produzione. Il PIL americano nel 1° trimestre è stato rivisto al ribasso (-0,2% da -0,1%), restando migliore del temuto. La produzione industriale attraversa una fase di frenata, peggiore dell’atteso (-0,2% a maggio, +0,1% in aprile): nel 2° la variazione acquisita è quasi nulla (+0,1%), anche se PMI e ISM manifatturieri indicano un profilo espansivo. Gli occupati in leggero rallentamento (+139 mila) non abbattono la fiducia dei consumatori (60,5 punti a maggio, dopo il minimo di marzo-aprile).

Cina colpita dai dazi. I dazi USA pesano sull’industria cinese: +5,8% annuo a maggio (da +6,1% in aprile), il dato di produzione più basso da sei mesi; il PMI manifatturiero è sceso a 48,3 a maggio (da 50,4), segnando la prima contrazione da otto mesi. Anche l’export frena a maggio a +4,8% annuo (da +8,1%): crollo verso gli USA (-34,5%), in parte compensato da Sud-Est asiatico (+14,8%) e Europa (+12,0%). I consumi interni, invece, accelerano: in aprile vendite al dettaglio al +6,4% annuo (da +5,1%).

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Il Dollaro raddoppia i dazi, ma agevola i tagli BCE.

Svalutazione del dollaro rapida e ancora in corso. Dall’insediamento dell’amministrazione Trump (gennaio 2025), il Dollaro è passato da 1,04 per un euro, a 1,16 toccato a metà giugno (-11,4% complessivo). Buona parte di tale svalutazione si è registrata dal giorno dell’annuncio dei dazi americani (2 aprile), quando il Dollaro era a 1,08 (-7,1%). Si è trattato di una brusca inversione di rotta rispetto al rafforzamento degli ultimi mesi del 2024; in precedenza si era avuta una lunga fase (inizio 2023 – estate 2024) di piccole oscillazioni intorno a 1,08.

Incertezza e aumento rischi da dazi. Una spiegazione è che gli investitori internazionali starebbero riducendo la quota di Dollari nei loro portafogli finanziari, spaventati dall’alta incertezza insita nelle politiche avviate dall’Amministrazione americana e dai suoi impatti sulla stessa economia americana. La risalita recente del rendimento del Treasury a 10 anni sembra confermare la relativa “sfiducia” nel debito ma anche nell’economia americana (4,38% il 20 giugno, da 4,12% il 2 aprile). La stessa incertezza di policy, misurata negli USA e a livello globale, ha registrato un balzo anomalo da inizio 2025, seguendo un sentiero simile a quello del cambio Dollaro-Euro.

Il cambio non segue i tassi. Va aggiunto che il cambio Dollaro-Euro ha preso una direzione opposta a quella che dovrebbero suggerire il differenziale dei tassi ufficiali e l’introduzione di dazi da parte dell’Amministrazione americana. Infatti, mentre la BCE ha continuato a tagliare, arrivando già al 2,00% a inizio giugno (dal 4,00% di partenza), la FED è ferma da inizio anno al 4,50% (da 5,50%). Questo ampio e insolito differenziale dei tassi FED-BCE (+2,50 punti) dovrebbe attirare più capitali internazionali verso gli USA, rispetto all’Eurozona, portando a un rafforzamento del Dollaro sull’Euro. Nella stessa direzione dovrebbe agire l’imposizione di dazi USA che, comportando un minore deflusso di Dollari all’estero (per le importazioni), dovrebbe spingere al rafforzamento del Dollaro.

Conseguenze negative. Gli impatti del cambio sulle imprese italiane si legano al tema dei dazi USA, non solo perché l’annuncio delle tariffe ha contribuito alla svalutazione del Dollaro, ma anche perché gli impatti di questi due fattori vanno nella stessa direzione. Gli effetti dell’Euro forte sul Dollaro, infatti, si sommano a quelli dei dazi USA sull’export dell’Eurozona. Si può dire che equivalgono di fatto a un “raddoppio” dei dazi, fissati al 10%, portando la “barriera all’export totale” sopra il 20%. Oltre a ciò, altre valute che seguono il Dollaro potrebbero svalutarsi, allargando l’effetto negativo per il nostro export ad altri mercati.

Attesa resilienza. L’export italiano ha dimostrato di essere molto competitivo non solo sui prezzi, ma soprattutto sulla qualità dei beni; inoltre, un reindirizzamento parziale delle vendite su altri mercati può attenuare l’impatto dei dazi. Peraltro, l’Euro forte non colpisce solo l’export dell’Italia, ma di tutte le imprese dell’Eurozona allo stesso modo. E il mercato europeo vale il 52% delle vendite italiane all’estero.

C’è anche una conseguenza positiva. Esiste poi un aspetto positivo dell’andamento recente del cambio, che riguarda l’inflazione: l’Euro più forte modera i prezzi degli input e dei prodotti finiti importati nell’Area, come quello del petrolio, che è quotato in Dollari. Questo contribuisce a tenere a freno l’inflazione in Europa, con benefici in particolare per le famiglie, che vedono più al riparo il proprio reddito reale. Viceversa, il Dollaro debole può accelerare l’inflazione negli USA, perché l’import degli americani diventa più costoso.

Che faranno le banche centrali? Un altro aspetto, a valle della svalutazione del Dollaro, è capire cosa faranno ora la BCE e la FED per raggiungere i loro obiettivi. Il rafforzamento dell’Euro potrebbe favorire (per i suddetti effetti sui prezzi) il percorso di tagli dei tassi BCE, già arrivati alla soglia oltre la quale si entra in area “espansiva”. Viceversa, la svalutazione del Dollaro potrebbe fermare del tutto i tagli dei tassi USA, ancora su valori restrittivi. Una politica monetaria espansiva nell’Eurozona può sostenere la nostra crescita, stimolando sia i consumi che gli investimenti, mentre la perdurante restrizione monetaria continuerebbe a frenare l’economia USA.

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