- La pseudo-ricchezza è la percezione di possedere un benessere economico che non corrisponde a un reale valore produttivo, spesso generata da bolle speculative in settori come criptovalute, immobiliare e tech.
- Questo fenomeno spinge individui e aziende, in particolare liberi professionisti e imprenditori, a compiere scelte finanziarie rischiose basate su illusioni di prosperità, esponendosi a fragilità e instabilità in caso di crisi.
- Per contrastarne gli effetti, è fondamentale promuovere educazione finanziaria, politiche fiscali intelligenti e decisioni economiche basate su valori concreti e sostenibili.
Se ne parla già da alcuni anni ma il boom è recente soprattutto per le criptovalute o il temporaneo aumento del valore di asset nel mondo tech e immobiliare. La pseudo-ricchezza o pseudo-benessere è un’illusione che riguarda tutti nel quotidiano ed equivale alla percezione di essere più ricchi di quanto non sia in realtà.
Il rischio, soprattutto per professionisti e aziende, è di spingersi verso investimenti azzardati e indebitamento, nel momento in cui la bolla si sgonfia, che conducono a fragilità finanziaria e instabilità, in fase di recessione.
Cos’è la pseudo-ricchezza e come si genera: lo studio di VoxEU
Una ricchezza che non esiste dunque ma che induce a spendere lo stesso. Un grafico in salita, una casa che “vale di più” o un investimento in criptovalute che raddoppia, almeno sulla carta. Una ricchezza apparente, una percezione di benessere che spesso non ha alcuna base nei reali asset produttivi di una società.
A definirla con chiarezza sono stati gli economisti Martin Guzman e Joseph Stiglitz, che ne hanno esplorato dinamiche ed effetti in uno studio pubblicato su VoxEU.
Ma al di là dei grandi sistemi, questo fenomeno ha implicazioni dirette e quotidiane, soprattutto per chi vive del proprio rischio d’impresa: liberi professionisti e imprenditori.
Cripto, immobiliare e tech: l’illusione al posto del valore reale
La pseudo-ricchezza nasce nel momento in cui l’aspettativa si incrocia con una scommessa sul futuro, ma senza che si crei un reale valore economico aggiuntivo. Due persone, ad esempio, possono ritenersi più ricche semplicemente perché convinte di aver fatto un buon affare, ma fino a quando non si produce una reale ricchezza, resta solo una sensazione che si basa su fluttuazioni di mercato, bolle speculative o mode finanziarie.
Ecco alcuni esempi pratici di pseudo-ricchezza nella vita quotidiana.
1. Criptovalute
Quando il valore di un token sale, molti si sentono più benestanti e spendono di più. Ma se il mercato crolla va da sé che il danno subito non è solo psicologico.
2. Immobiliare
Se la casa “vale” di più, molte famiglie si sentono più sicure e aumentano i consumi, spesso a debito. Ma basta un calo del mercato per invertire la rotta.
3. Investimenti speculativi
Chi punta su titoli tecnologici può sentirsi “avanti” rispetto agli altri, ma spesso il valore di alcune azioni tech è sopravvalutato e legato alle aspettative, non supportato invece da dati concreti. La sensazione positiva del momento spinge le persone non solo a spendere e investire, ma addirittura a indebitarsi.
I rischi invisibili per chi lavora in proprio
Per chi è titolare di partita IVA, gestisce una piccola impresa o intraprende la libera professione senza paracadute, la pseudo-ricchezza non è solo una teoria macroeconomica ma diventa una minaccia quotidiana.
Molti imprenditori, ad esempio, investono i propri risparmi oppure anticipano spese, sulla base di un patrimonio “percepito” magari per la crescita momentanea del portafoglio azionario, l’aumento di valore di un immobile o un boom delle criptovalute.
Ma quando questi valori si sgonfiano, spesso senza preavviso, le conseguenze si riversano direttamente sul bilancio familiare o aziendale, lasciando sul tavolo solo spese sostenute sulla base di illusioni, debiti contratti quando ci si sentiva “ricchi” e investimenti saltati per mancanza di liquidità reale.
I pericoli della pseudo-ricchezza a livello macroeconomico
Secondo Guzman e Stiglitz, la pseudo-ricchezza non è solo un problema individuale ma può generare effetti a catena fino ad arrivare a livello sistemico.
Quando il valore di questi asset finanziari ed economici aumenta, anche solo sulla carta, le persone tendono ad aumentare i consumi che però sono instabili perché alimentati dal debito. E lo stesso vale per le piccole aziende che magari assumono, investono o si espandono ma in realtà con una cattiva allocazione di risorse, a discapito invece di investimenti che potrebbero rivelarsi realmente produttivi.
Tuttavia, se quella ricchezza non è reale, ma solo una scommessa sul futuro, la successiva delusione provoca tagli bruschi, fallimenti, e un rallentamento a catena che colpisce tutto il tessuto economico.
Per chi lavora in proprio, questa dinamica è devastante: meno clienti, ritardi nei pagamenti, flussi di cassa imprevedibili. Una semplice correzione di mercato può compromettere mesi, se non anni, di pianificazione.
Pseudo-ricchezza, il parere dell’esperto
Il paradosso odierno vede moltiplicarsi le piattaforme di investimento e le tecnologie che permettono di “giocare” con la finanza in tempo reale ma l’economia vera fatta di lavoro, beni e servizi segue evidentemente ritmi più lenti e reali. Per Partitaiva.it, interviene il dott. Salvatore Spinosa, consulente finanziario e analista previdenziale, che ci aiuta a fare chiarezza su alcuni aspetti.
Qual è il rischio che ne deriva soprattutto a discapito degli imprenditori? Cosa può accadere nella quotidianità, magari portando avanti tutti i giorni azioni e comportamenti apparentemente “innocui”?
“Il rischio più subdolo è quello dell’illusione di solidità. Quando il contesto attorno a noi – titoli tecnologici in crescita, criptovalute che raddoppiano di valore in poche settimane, immobili che sembrano non scendere mai di prezzo – ci trasmette un messaggio di “ricchezza diffusa”, c’è il pericolo di adattare inconsciamente i nostri comportamenti a quella narrazione, anche senza volerlo.”
“Per esempio, un piccolo imprenditore può decidere di espandersi, prendere un mutuo per acquistare un nuovo capannone o investire in un software costoso “perché il mercato tira”. Ma se quella spinta era drogata da un flusso di liquidità facile o aspettative irrealistiche, quando l’onda si ritira resta la sabbia. E le rate da pagare.”
“Lo stesso vale per il libero professionista che sente “che tutti stanno guadagnando” e magari sposta liquidità su strumenti rischiosi senza una vera pianificazione, sottovalutando il proprio orizzonte temporale o la necessità di liquidità. Si chiama FOMO (Fear Of Missing Out) ossia la paura di restare fuori dall’opportunità, che “tutti” gli altri stanno cogliendo, di arricchire facilmente; è uno dei bias comportamentali più pericolosi in finanza perché spinge le bolle speculative e porta ad acquistare a prezzi molto elevati.”
“In oltre 25 anni di carriera sul campo l’ho visto succedere tante volte: nel 2001 con le torri gemelle, nel 2008 con Lehman, nel 2011 con la crisi del debito sovrano e nelle crisi più recenti. Si crea l’illusione del controllo e non si tiene più conto dei fattori esogeni ed imprevedibili che possono mutare radicalmente il quadro di riferimento in pochissimo tempo, perdendo di vista le fonti “stabili” di reddito.”
“Il vero pericolo? Agire come se fossimo più ricchi di quanto realmente siamo, senza un vero incremento di produttività, reddito stabile o capitale reale. È lo stesso meccanismo che citavo prima: negli anni 2000 milioni di famiglie americane si sono indebitate contro il valore percepito (e gonfiato) delle proprie case, salvo poi ritrovarsi in ginocchio alla crisi del 2008.”
Il tema centrale, come sottolineano Guzman e Stiglitz, non è però solo tecnico ma politico. Fino a che punto si può permettere la libertà di investimento individuale, sapendo che può generare instabilità collettiva?
“Questa è una domanda scomodissima, ma necessaria.
Nel mondo occidentale, abbiamo basato la crescita anche sull’idea che ciascuno possa essere artefice della propria fortuna. È un principio nobile e potente. Ma quando la libertà individuale si traduce in comportamenti collettivi non regolati o disallineati dai fondamentali dell’economia reale, allora il gioco si fa pericoloso.”
“Guzman e Stiglitz, in più studi sul debito e sull’instabilità, evidenziano come l’assenza di regole adeguate in mercati complessi possa generare effetti domino anche su chi non ha partecipato attivamente alla speculazione. In altre parole: anche chi ha sempre risparmiato con attenzione, chi ha fatto “il compitino” ogni giorno, può ritrovarsi a dover subire l’effetto boomerang delle bolle create da altri.”
“La questione non è vietare, ma educare e responsabilizzare, anche con strumenti normativi e fiscali che orientino i comportamenti: la spinta gentile che porta ad attuare comportamenti virtuosi perché convenienti e non perché imposti. Oggi invece spesso premiamo la leva finanziaria e la speculazione di breve con la promessa dell’arricchimento facile e rapido, penalizzando chi costruisce nel tempo seguendo il naturale ciclo della vita.”
In un mondo dove anche i più prudenti possono subire le conseguenze delle scommesse altrui, la linea tra autonomia finanziaria e responsabilità sistemica si fa sottile.
Cosa deve fare il libero professionista, che ha sempre gestito con attenzione le sue finanze? Magari può trovarsi in difficoltà semplicemente perché una crisi di fiducia ha ridotto la spesa dei suoi clienti. Allo stesso modo, il piccolo imprenditore può vedere evaporare finanziamenti o ordini perché il sistema ha premiato la speculazione anziché la solidità.
“La prima cosa da fare è non colpevolizzarsi. L’instabilità sistemica non è una colpa individuale. Ma si può e si deve reagire.”
“Per chi lavora in proprio, la solidità parte dalla pianificazione: sapere in anticipo quali sono i propri costi fissi, quanto cash serve per affrontare 6-12 mesi di incertezza, quali sono i clienti strategici su cui costruire relazioni durature. È finita l’era della vendita del prodotto o servizio, in cui bastava “lavorare bene”: oggi serve anche gestire bene.”
“In secondo luogo, è il momento di affiancare all’attività operativa anche una vera gestione patrimoniale. Anche chi ha redditi medi può costruire un piano previdenziale, può usare strumenti finanziari efficienti per proteggere e far crescere il proprio capitale. Non servono 10 milioni per pianificare, ma 10 minuti per iniziare. Nei miei contenuti sui social e con i clienti sto puntando sul concetto da me ribattezzato CPE (Capitale previdenziale Equivalente); in estrema sintesi è un numero unico, la cifra, che rappresenta la serenità, la forza e la stabilità di ogni professionista, risparmiatore o famiglia, raggiunta la quale ogni progetto è tutelato anche rispetto all’imprevisto e ogni passo è coperto.”
“Infine, è il tempo della selezione: di clienti, di progetti, di partner. In una fase di incertezza, vince chi sceglie di meno ma meglio. E chi ha il coraggio di dire qualche “no” in più e di ultraspecializzarsi per non essere sostituito o sostituibile dall’IA ma utilizzarla come un acceleratore della propria crescita.”
“La finanza non è un gioco. È un campo minato per chi ci entra senza mappa. Ma può diventare un alleato formidabile per chi sceglie di navigarla con metodo, con una visione, e con un professionista al proprio fianco.”
Come proteggersi: strategie per chi lavora in proprio
Per affrontare questa sfida, servono soluzioni multilivello. In primis, serve una maggiore consapevolezza. L’educazione finanziaria è una difesa essenziale contro l’euforia collettiva: capire la differenza tra valore reale e valore percepito può salvare risparmi, aziende e carriere.
Poi ci vogliono strumenti normativi intelligenti: non per bloccare l’innovazione, ma per frenare gli eccessi. Tassazioni sulle transazioni speculative, incentivi agli investimenti di lungo termine, sostegno fiscale per l’innovazione vera che genera occupazione e benessere concreto sono solo alcuni degli strumenti possibili.
Infine, servono scelte strategiche a livello individuale. Per chi lavora in proprio, ciò significa evitare di legare le proprie decisioni economiche a patrimoni volatili. Meglio basarsi su flussi di cassa reali, clienti solidi, margini sostenibili. L’apparenza può ingannare e nella pseudo-ricchezza si nasconde spesso una trappola.
In un’economia dove si confonde sempre più spesso il virtuale con il reale, distinguere tra ricchezza vera e illusoria è diventato essenziale. Per i liberi professionisti e gli imprenditori, questa consapevolezza può fare la differenza tra resilienza e vulnerabilità.
Comprendere i meccanismi della pseudo-ricchezza non è solo una questione di teoria economica: è una necessità concreta per navigare, ogni giorno, in un sistema che premia le percezioni ma risponde, prima o poi, alla realtà.
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