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Estate senza treni un diverso turismo


Se s’interrompe un’emozione, fiorisce un sospiro. Se s’interrompe un servizio pubblico, è garantito un diluvio d’insulti (anche legittimi), improperi, vaffa grillini, accuse alle istituzioni dallo Stato a scendere (e io pago), manifestazioni improvvisate pronte a sfociare in un nuovo movimento politico.

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Come si sa, da una settimana e per l’intera estate, nessun treno può percorrere la linea fra Lecco, Sondrio e Tirano. Come dire, un’amputazione nel cuore della stagione destinata al turismo. La questione è delicata e va ben oltre la solita dialettica tra l’inefficienza e la necessità di ammodernare strutture di fine Ottocento.

In premessa non possiamo non sottolineare come i termini programmazione e pianificazione siano qui, come a ogni latitudine del Paese, parole spesso vacue e vanamente contemplate nei programmi elettorali. A maggior ragione, quando c’è un treno che passa meglio non perderlo. E ancora: qui si tratta di un’opera pubblica che se genera disagi nei cittadini, non possono essere assimilabili agli scioperi dei tassisti, dei casellanti e di altre categorie di lavoratori che se spengono l’interruttore è buio pesto.

Ma passiamo alla pars construens, per dire che non tutto il male viene per nuocere.

Nella fattispecie le Olimpiadi invernali 2026 di sicuro hanno accelerato gli interventi dopo secolari e quotidiani ritardi. Se interroghi un pendolare in qualsiasi dì dell’anno in corso state certi che vi fornirà un cahier des doléances da suggerire l’idea di qualche remoto Paese in via di sviluppo.

Mettiamoci in testa che ci toccherà la menomata condizione di rinunciare a diretti e regionali fino al ritorno in classe. Se la scelta è temporalmente discutibile, è altrettanto vero che non era più rinviabile anche se ci rendiamo conto, come si è visto in questa prima settimana, che l’autobus come surrogato non è il massimo degli agi.

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I quotidiani assembramenti che richiamano la transumanza alle stazioni hanno il duplice merito (ci tappiamo le orecchie per gli inevitabili fischi ) di dimostrare come le nostre località siano attrattive, ma poco predisposte e attrezzate per accogliere frotte di visitatori danarosi da oltreoceano, gruppi di asiatici dallo scatto facile e tantomeno il popolo dei follower di Baby Gang, Fedez e altri improbabili predicatori della genìa dei Maranza.

Possono le nostre sembrare annotazioni di colore, ma mirano dritte a suggerire che il turismo del nostro territorio va diversamente gestito e regolamentato non ricorrendo a normative statuali, presto vanificate dall’immortale Tar del Lazio, a dimostrazione che ogni territorio può e deve, nel rispetto del quadro generale, trovare il giusto equilibrio capace di interpretare e declinare al meglio il genius loci, cioè le sue peculiarità.

Mi viene in mente, senza pretesa di venir ascoltato, l’introduzione di una tassa di sbarco. Della serie: com’è doveroso pagare il biglietto per visitare la splendida e rinnovata Villa Monastero allo stesso modo non è fuori luogo chiedere qualche spicciolo per chi vuol perdersi nei viottoli di Varenna oppure godersi una giornata in uno dei tanti inimitabili lidi del nostro ramo. Compenserebbero tra l’altro il crescente esercito di chi non paga il biglietto su treni e bus di un Paese che, ahinoi, viaggia sempre in ritardo, suggerendo anche orride nostalgie di un tempo che mai ci pare orrido come oggi.

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