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Fuoco Usa sull’Iran, ma il vero bersaglio sono le nostre imprese: rischio collasso per le PMI italiane


L’attacco militare degli Stati Uniti contro l’Iran rappresenta un punto di svolta per gli equilibri geopolitici mondiali, ma anche un terremoto silenzioso per l’economia reale. Mentre l’opinione pubblica e i mercati globali si concentrano sugli aspetti militari e diplomatici del conflitto, un’altra battaglia si consuma più in sordina: quella delle piccole e medie imprese, che si trovano ancora una volta esposte agli effetti collaterali di uno scontro internazionale su cui non hanno voce in capitolo.

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Le PMI — vero motore economico in Europa e in Italia, con milioni di lavoratori impiegati — sono le prime a risentire della volatilità dei mercati, dell’aumento dei prezzi dell’energia e della rottura delle catene di fornitura. L’Iran, seppur non un partner commerciale diretto per molte imprese italiane, è nodo strategico in una rete più ampia: lo Stretto di Hormuz, da cui transita circa un quinto del petrolio mondiale, è tornato ad essere teatro di instabilità. L’innalzamento del prezzo del greggio e del gas è una conseguenza diretta, e già si riflette su costi di produzione, logistica e trasporti.

Per le imprese manifatturiere, i rincari energetici significano margini più sottili e contratti da rinegoziare in fretta. Per quelle legate all’import-export, l’incertezza rende difficili pianificazioni e investimenti. Le sanzioni che inevitabilmente seguiranno — un déjà vu per molti settori — renderanno ancora più complicato operare nei mercati internazionali, aumentando burocrazia e rischi finanziari.

Ma il danno maggiore è forse quello psicologico: il ritorno a un clima da “guerra fredda globale” indebolisce la fiducia, elemento imprescindibile per lo sviluppo delle PMI. Gli imprenditori si ritrovano a navigare in acque incerte, mentre le istituzioni internazionali faticano a offrire un quadro stabile e rassicurante.

Il pericolo più grande, tuttavia, resta quello dell’escalation. Un conflitto allargato, che coinvolga altri attori regionali — dall’Arabia Saudita a Israele, fino a potenze come Russia e Cina — potrebbe avere effetti devastanti non solo sull’economia globale, ma sulla tenuta stessa del sistema multilaterale. A farne le spese, ancora una volta, sarebbero le imprese più fragili, quelle con meno riserve e meno accesso a strumenti di protezione finanziaria.

In questo scenario, l’Europa e l’Italia devono fare di più. Serve un piano straordinario per tutelare le PMI dagli shock esterni: credito garantito, accesso agevolato all’energia, strumenti rapidi di compensazione per le perdite legate alla guerra e un rafforzamento delle politiche commerciali autonome. Ma serve anche, e soprattutto, una voce unitaria sul piano diplomatico: perché evitare l’escalation è l’unico vero modo per proteggere le nostre economie locali.

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Le guerre si combattono anche con le economie. Ed è compito della politica proteggere chi, giorno dopo giorno, tiene in piedi la spina dorsale del Paese: le piccole e medie imprese.



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