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Lavoro: ecco la proposta di legge per la settimana corta


La proposta di legge n. 2067, presentata alla Camera dei deputati il 1° ottobre 2024 da esponenti di diverse forze politiche  arriva in questi  giorni in aula alla Camera per la discussione , nasce dalla constatazione del persistente squilibrio tra tempo di vita e tempo di lavoro in Italia. Essa mira a promuovere modelli organizzativi più sostenibili che permettano la riduzione dell’orario di lavoro settimanale a 32 ore, mantenendo invariato il livello retributivo. 

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L’iniziativa si fonda su esperienze internazionali positive, sull’impatto delle innovazioni tecnologiche e sulla necessità di rafforzare l’occupazione, la produttività e la qualità della vita  del lavoratori, intervenendo anche sulla disparità di genere e sulla coesione sociale.

Vediamo cosa contengono gli articoli della proposta e le posizioni pro e contro.

1) Riduzione orario di lavoro: contenuto normativo della proposta

Articoli 1 e 2 – Finalità e misure di sostegno

L’Articolo 1 stabilisce che la legge ha l’obiettivo di favorire la sottoscrizione di contratti collettivi – nazionali, territoriali o aziendali – volti a ridurre progressivamente l’orario ordinario settimanale di lavoro fino a 32 ore, distribuite eventualmente su quattro giorni, a parità di salario. Tali contratti devono essere accompagnati da investimenti in formazione, innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale. È vietata la compensazione della riduzione con un aumento del lavoro straordinario.

L’ Articolo 2 introduce agevolazioni contributive per 36 mesi per le imprese private (escluse agricoltura e lavoro domestico) che sottoscrivano tali contratti. L’esonero  sarebbe pari al:

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  • 30% dei contributi a carico del datore di lavoro, che sale a 
  • 50% per le PMI;
  • 60% per lavori gravosi o usuranti (come da normativa vigente).

Articoli 3-7 – Strumenti attuativi e disposizioni finanziarie

L’Articolo 3 modifica il “Fondo Nuove Competenze”, ampliandone la finalità e incrementandone la dotazione (50 milioni per il 2024 e 275 milioni per ciascuno degli anni 2025 e 2026), destinandolo anche al sostegno della riduzione dell’orario e a nuove forme di lavoro.

L’Articolo 4 istituisce l’“Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro”, con sede presso l’INAPP, composto da rappresentanti del Ministero del lavoro, esperti e rappresentanze paritarie dei datori di lavoro e dei lavoratori. L’Osservatorio ha compiti di monitoraggio e valutazione, ed è tenuto a presentare annualmente una relazione al Parlamento.

L’Articolo 5 introduce un meccanismo di partecipazione diretta: in assenza di contratti collettivi nazionali, almeno il 20% dei lavoratori può proporre un contratto di riduzione oraria, che sarà sottoposto a referendum aziendale. Se approvato, il contratto può entrare in vigore previa adesione del datore di lavoro.

l’Articolo 6 prevede, al termine del periodo triennale di sostegno, la possibilità di ridefinire normativamente l’orario normale di lavoro, riducendolo ufficialmente. Dove almeno il 20% dei lavoratori è già coinvolto nei contratti di riduzione, la diminuzione dovrà essere almeno del 10%.

L’Articolo 7 chiarisce la copertura finanziaria della legge, con oneri a carico del Fondo per la riduzione fiscale e la riforma del sistema fiscale.

Scarica qui il testo della proposta di legge.

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2) La posizione della maggioranza sulla proposta

La maggioranza (rappresentata nella discussione in Parlamento dall’On Malagola FdI) si oppone fermamente alla proposta di legge ritenendola ideologica e antistorica; tecnicamente debole e insostenibile; lesiva dell’autonomia delle parti sociali; pericolosa per l’equilibrio del sistema di rappresentanza sindacale. 

In particolare la proposta si fonda, secondo Malagola, su una visione negativa del lavoro, tipica della cultura politica della sinistra, che vede il lavoro come sfruttamento e maledizione da cui liberare le persone. La settimana corta sarebbe la terza tappa, dopo reddito di cittadinanza e salario minimo, di un progetto che mira a separare il reddito dal lavoro e a deresponsabilizzare i cittadini rispetto al contributo produttivo alla società. Il testo, pur presentandosi come una sperimentazione basata sulla contrattazione collettiva, prevede un intervento normativo vincolante dopo tre anni, che ridurrebbe per legge l’orario normale di lavoro: ciò contraddice l’autonomia negoziale e dimostra la volontà di un controllo statale dirigista. L’intervento statale è ritenuto dalla maggioranza invasivo, inefficace e ideologico, contrario alla libertà delle parti sociali di regolare autonomamente il mercato del lavoro.

Ancora, le coperture previste (250 milioni/anno) sono ritenute insufficienti rispetto alla platea potenziale (24 milioni di lavoratori). Il rischio è che una misura a costo contenuto ora si trasformi in una riforma strutturale molto onerosa nel lungo periodo. La maggioranza denuncia una scarsa serietà tecnica nella quantificazione degli oneri e nella progettazione dell’intervento. L’introduzione della possibilità di approvare contratti aziendali tramite referendum interno (in assenza di contrattazione collettiva) viene considerata un attacco al sistema della rappresentanza sindacale.

3) Le motivazioni dei promotori della legge

I promotori della proposta di legge n. 2067  (PD-AVS- VERDI) sostengono che la riduzione dell’orario di lavoro rappresenti una risposta moderna ed equa alle trasformazioni storiche e tecnologiche del mondo del lavoro. Dopo secoli di lotte per la conquista di orari più umani, negli ultimi decenni in Italia si è assistito a un’involuzione: aumento della precarietà, stagnazione salariale, orari prolungati e polarizzazione occupazionale (tra sottoccupati e super-lavoratori).

La proposta nasce da una constatazione: in Italia si lavora più che in altri Paesi europei,  ma con minori salari reali, maggiore stress, disoccupazione e disuguaglianze, in particolare a danno delle donne, dei giovani e dei lavoratori meno qualificati. Il tempo di lavoro è ormai al centro di nuove fratture sociali e squilibri generazionali.

Secondo il Working Paper dell’INAPP di gennaio 2025, l’orario medio di lavoro in Italia è tra i più alti in Europa, eppure questo non si traduce in una maggiore produttività. Prima della pandemia, gli italiani lavoravano, in media, 359 ore in più dei tedeschi e 200 ore in più dei francesi, ma la produttività del lavoro, negli ultimi anni, è cresciuta, mediamente, dello 0,4 per cento  e, parallelamente, negli stessi anni, gli stipendi sono diminuiti quasi del 3 per cento.

La pandemia ha evidenziato che è possibile riorganizzare il lavoro, migliorando la produttività e il benessere anche a distanza. 

In molti Paesi – tra cui Islanda, Spagna, Belgio, Regno Unito – le sperimentazioni sulla settimana corta hanno mostrato risultati positivi: aumento della produttività, riduzione dello stress, maggiore equilibrio tra vita e lavoro.

In Italia alcune grandi aziende hanno già avviato volontariamente sperimentazioni simili. Tuttavia, per estendere il modello anche a imprese più piccole, serve un intervento pubblico con incentivi e norme di sostegno.



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