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DALLO STRETTO HORMUZ TRANSITA IL 20% DEL PETROLIO MONDIALE E IL 25% DEL GAS 


Lo Stretto di Hormuz è un’arteria strategica del sistema energetico globale. Ogni giorno vi transitano circa 17-18 milioni di barili di petrolio greggio, pari al 20% della domanda mondiale, e oltre un quarto (più del 25%) delle esportazioni mondiali di gas naturale liquefatto, provenienti soprattutto dal Qatar. Il corridoio marittimo, largo appena 33 chilometri tra Iran e Oman, è essenziale per i flussi energetici diretti verso Asia, Europa e Stati Uniti. È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa, secondo cui ogni tensione nella regione – come il recente scontro tra Israele e Iran – alimenta volatilità sui mercati.

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La tregua annunciata stamattina da Donald Trump ha calmato i mercati energetici, con il gas in calo del 10% ad Amsterdam. Il rischio di blocco dello Stretto, pur remoto in questa fase, ma non del tutto scongiurato, rappresenta una minaccia per la sicurezza degli approvvigionamenti globali. Hormuz resta così un punto nevralgico in cui si intrecciano diplomazia, geopolitica e stabilità economica. 

«La tregua tra Israele e Iran, annunciata dal presidente Donald Trump, è una boccata d’ossigeno non solo per la diplomazia internazionale, ma per l’intero sistema economico globale. Il forte calo del prezzo del gas è la cartina tornasole di un equilibrio che, quando si rompe, ha conseguenze ben oltre i confini del Medio Oriente. Lo Stretto di Hormuz non è solo una rotta commerciale: è un simbolo della fragilità di un ordine energetico ancora troppo dipendente da poche aree instabili del pianeta. La sua sicurezza, oggi garantita più dalla deterrenza militare che da una reale stabilità politica, rappresenta un nodo strategico per l’Occidente, e in particolare per l’Europa, che continua a inseguire la diversificazione energetica con colpevole lentezza. Se c’è una lezione da trarre da questo tregua è che la sicurezza energetica non può essere separata da una visione di lungo periodo fatta di investimenti in autonomia strategica, accordi multilaterali e infrastrutture resilienti. In caso contrario, continueremo a pagare il prezzo della pace alla pompa di benzina e in bolletta» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, lo Stretto di Hormuz rappresenta, oggi più che mai, uno dei fulcri imprescindibili per la sicurezza energetica globale. Situato tra l’Iran e l’Oman, collega il Golfo Persico al Golfo di Oman e, da lì, all’Oceano Indiano. Sebbene geograficamente angusto — nel punto più stretto misura appena 33 chilometri — la sua rilevanza geopolitica e commerciale è smisurata: ogni giorno vi transitano miliardi di dollari in idrocarburi, rendendolo lo snodo marittimo più delicato del pianeta per il trasporto di gas naturale liquefatto (GNL) e petrolio greggio Attraverso lo Stretto di Hormuz transita circa il 20% della domanda mondiale di petrolio: parliamo di 17-18 milioni di barili al giorno, in buona parte destinati alle economie asiatiche — Cina, India, Giappone e Corea del Sud in primis — ma anche all’Europa e, in misura minore, agli Stati Uniti. L’Arabia Saudita, l’Iraq, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e lo stesso Iran sono i principali esportatori che si servono di questo rottame. Oltre al petrolio greggio, lo Stretto è la principale via di uscita per il gas naturale liquefatto del Qatar, il più grande esportatore al mondo di GNL. Ogni giorno, circa un quarto delle esportazioni mondiali di gas liquido — pari a 18-20 miliardi di piedi cubi — lascia il porto industriale di Ras Laffan per dirigersi verso i mercati asiatici e, sempre più frequentemente, europei. Il transito delle metaniere qatarine rende il passaggio ancora più strategico, soprattutto in un contesto post-crisi energetico in cui l’Europa è impegnata nella diversificazione delle fonti per ridurre la dipendenza dal gas russo.

Il valore energetico dello Stretto di Hormuz è inversamente proporzionale alla sua sicurezza. Ogni crisi mediorientale, ogni tensione tra Stati Uniti e Iran, ogni escalation tra Israele e il mondo sciita riporta alla luce il rischio di una sua chiusura, anche solo temporanea. L’Iran, che controlla la sponda settentrionale dello Stretto, ha spesso minacciato di bloccare il passaggio come ritorsione contro sanzioni o azioni militari. Sebbene una chiusura prolungata sia improbabile — anche per Teheran avrebbe costi enormi — il solo rischio alimenta speculazione e volatilità sui mercati energetici. L’odierno annuncio di tregua tra Israele e Iran, agevolato dal presidente statunitense Donald Trump, ha avuto un immediato effetto calmante sui mercati: il gas naturale è crollato del 10% sulla piazza TTF di Amsterdam. Segno evidente che lo Stretto di Hormuz non è solo una rotta fisica, ma una vera e propria leva psicologica e strategica per i mercati. Lo Stretto di Hormuz è il termometro della fragilità energetica globale. La sua importanza non si limita al mero trasporto di idrocarburi: è il simbolo di un equilibrio precario tra domanda globale, produzione concentrata in pochi Paesi e instabilità politica permanente. In un mondo che ancora dipende in larga parte da fonti fossili, la sicurezza di questo snodo resta condizione essenziale per la stabilità economica globale. Monitorarlo non è solo un dovere degli analisti energetici: è una necessità strategica per ogni Paese importatore.

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Ufficio Stampa Unimpresa
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