Ci si è lasciati con la promessa che nell’arco di pochi giorni, a metà della prossima settimana, tutti gli enti coinvolti inviino al ministero delle Imprese e del Made in Italy le proprie proposte di modifica alla bozza dell’Accordo di Programma Interistituzionale attualmente in esame, in relazione alla vicenda ex Ilva.
E’ quanto ha comunicato il Mimit in una nota, dopo che si “è svolto un confronto costruttivo e nel merito tra il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e i rappresentanti degli enti locali”. In particolare, all’incontro, che si è tenuto in videocollegamento, erano presenti il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, il presidente della Provincia di Taranto, Gianfranco Palmisano, il sindaco di Taranto, Piero Bitetti, il sindaco di Statte, Fabio Spada, e il commissario dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ionio, Giovanni Gugliotti. Nel corso della riunione, si specifica nella nota, “il Mimit ha confermato la massima disponibilità a valutare e recepire le eventuali istanze che emergeranno dal territorio, in un’ottica di piena e leale collaborazione tra organi dello Stato”.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali e delle prese di posizione degli ultimi giorni (che come sempre oscillano tra la propaganda e la demagogia), la riunione è servita quanto meno a trasmettere un messaggio molto chiaro a tutti i presenti: è arrivato il momento di giocare a carte scoperte, di dichiarare una volta e per tutte cosa si vuole fare in relazione al presente e al futuro del siderurgico. E bisogna farlo attraverso o delle proposte che abbiano concretezza e fattibilità, oppure attraverso l’assunzione di responsabilità di fronte ad un’intera comunità e a migliaia di lavoratori se l’intenzione è quella di chiudere per sempre con la presenza del gigante d’acciaio in riva alla città dei Due Mari.
Del resto, il tempo stringe: l’obiettivo del governo è infatti quello di far pervenire al tribunale di Milano nel più breve tempo possibile, l’Accordo di Programma Interistituzionale sottoscritto tra soggetti istituzionali ed enti locali, con l’obiettivo di assicurare un coordinamento efficace nell’ambito del rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per impianti di preminente interesse nazionale. Un atto propedeutico e di indirizzo, volto a garantire – nel rispetto degli interessi fondamentali della collettività – la coerenza tra politiche ambientali, pianificazione territoriale e sviluppo industriale. Insieme all’Accordo, il governo chiederebbe al tribunale una proroga temporale chiedendo il rinvio del pronunciamento dello stesso sulla causa intentata da un gruppo di cittadini (sulla quale si è espressa anche la Corte Europea) che potrebbe decidere per lo stop dell’area a caldo, in attesa della conclusione del procedimento, attualmente in corso, del riesame della procedura di Autorizzazione Integrata Ambientale che dovrà essere rilasciata sotto forma di decreto dal ministero dell’Ambiente. Si spera entro l’estate.
Il contenuto tecnico e gli indirizzi contenuti nell’Accordo di programma interistituzionale diventerebbero così parte integrante del procedimento di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA): chiunque assumerà la titolarità del sito produttivo sarà tenuto al rispetto delle condizioni definite dalle istituzioni, coerenti con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e transizione industriale.
Ecco perché durante la call, il ministro Urso ha posto la domanda delle domande: ovvero se gli enti locali, prima ancora di entrare nel merito dei singoli punti previsti dalla bozza di Accordo, volessero la chiusura dell’area a caldo dell’ex Ilva. Quesito in relazione al quale, stando a chi ha partecipato alla riunione, non vi sarebbe stata risposta. Perché oramai è chiaro a chiunque che se l’intento è lo stop alla produzione di acciaio primario attraverso il ciclo integrale a carbone, la discussione si sposterebbe su altri binari e costringerebbe il governo a rivedere qualsiasi piano di investimento su Taranto e a chiudere definitivamente la trattativa ancora in corso con gli azeri del gruppo Baku Steel.
A quel punto Taranto potrebbe diventare un impianto soltanto per la lavorazione a freddo dell’acciaio prodotto altrove. Il che avrebbe ricadute occupazionali di notevole impatto: 5-6 mila esuberi strutturali tra i dipendenti diretti a cui andrebbero aggiunte altre migliaia dell’indotto (senza dimenticare gli oltre 1600 collocati in cassa integrazione in Ilva in AS dal 2018), ovvero lavoratori da collocare in NASPI dopo l’esaurimento della cassa integrazione. Una prospettiva che mette i brividi e che questo territorio non sarebbe al momento in grado di gestire sotto tutti i punti di vista, compresi quella della formazione e della ricollocazione nel mondo del lavoro. Ecco perché lascia francamente perplessi la scelta di non convocare al tavolo le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria che rappresentano le aziende dell’indotto.
E’ fin troppo chiaro però, almeno per chi segue questa vicenda dagli arbori, che mai e poi mai il neo sindaco di Taranto Piero Bitetti, il sindaco di Statte, il presidente della Provincia e il governatore Emiliano (che durante la riunione ha vestito le parti del mediatore) avrebbero messo sul tavolo l’ipotesi della chiusura dell’area a caldo. Allo stesso tempo però, questo non può e non deve significare schiacciare in un angolo la tutela dell’ambiente o sorvolare sul rischio sanitario per lavoratori e cittadini. Perché questo non lo si può più fare a prescindere dalle posizioni di ognuno. Il perimetro dentro il quale muoversi, come stabilì nel 2013 la Corte Costituzionale, è il rispetto e l’equilibrio del diritto al lavoro, alla salute e all’ambiente. Per fare questo tutte le parti in causa devono necessariamente addivenire ad una sintesi nessuno dei tre diritti venga compromesso o compresso senza le opportune tutele.
Pertanto, si è quindi passati ad analizzare i punti chiave più critici dell’Accordo di Programma, per capire se sugli stessi si potrà o meno arrivare ad un accordo.
In primis la questione della nave gasiera da collocare ad appena 9 km dal Molo Polisettoriale, per alimentare con 1 miliardo di metri cubi di gas l’anno sia l’impianto di preridotto che le centrali termoelettriche presenti nel siderurgico, visto che con il fermo attuale e futuro degli altiforni, i gas siderurgici recuperati dagli stessi scarseggia e di certo non si può continuare a gravare sulla rete nazionale prelevando ingenti quantitativi dalla rete Snam, che alla fine della fiera non si sa nemmeno con quali risorse economiche pagare come accaduto più volte in questi ultimi anni. Su questo punto il Mimit aveva già formulato una seconda proposta pervenuta nell’ultima bozza dell’Accordo inviata agli enti locali nella giornata di martedì 24 giugno: da stanziale l’ancoraggio della nave diventa temporaneo, seppur senza indicare un chiaro arco temporale entro il quale dismetterla.
Ai dubbi sollevati dagli enti locali sulla vicinanza di una unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione (Fsru) al porto e alla raffineria Eni, i tecnici del ministero hanno rilanciato mettendo sul tavolo quanto si è deciso nell’Accordo sottoscritto a Piombino: ovvero l’ipotesi di installare la nave gasiera a 12 miglia dalla costa.
Perché stante il fatto che al momento in nessuna parte del mondo si utilizza l’idrogeno per produrre acciaio, e stante il fatto che l’ipotesi avanzata dagli enti locali di prelevare il gas dal futuro raddoppio del TAP (il gasdotto che proprio dall’Azerbaijan porta il gas in Europa attraverso la Puglia, che oggi ha la sua centrale di smistamento in quel di Mesagne, per il quale si prevede di aumentare da 10 a 20 miliardi di metri cubi l’anno il suo approvvigionamento) non ha ancora tempi certi sull’inizio e la fine dei lavori, del gas non se ne può fare a meno. A meno che non si dica chiaro e tondo che si è contrari anche all’installazione dell’impianto di produzione del preridotto a Taranto, progetto per il quale la società DRI d’Italia ha in dotazione 1 miliardo di euro stanziati attraverso il Fondo Coesione e nel quale secondo l’ultimo decreto varato dal governo potranno entrare anche privati.
Si è poi parlato anche dell’istallazione nel porto di Taranto di una piattaforma galleggiante attrezzata con impianti per la desalinizzazione dell’acqua di mare, progetto sul quale la Provincia ha avanzato una serie di dubbi in relazione ad eventuali scarichi in mar Grande.
L’infrastruttura richiederà l’istallazione di una condotta idrica della lunghezza di circa 9 km con il rispettivo allacciamento alla rete per la fornitura di energia al sistema di desalinizzazione. Si è optato per una soluzione galleggiante in sostituzione di un impianto a terra per mancanza di spazio e perché la soluzione galleggiante permette flessibilità di spostamento in caso di necessità. L’impianto di desalinizzazione dovrà servire alla produzione di acque industriali e avrà la capacità produttiva di 110 mila metri cubi al giorno. Con la finalità di ridurre i costi di fornitura di acqua attualmente sostenuti, inclusivi del potenziale costo aggiuntivo per l’utilizzo dell’acqua del Sinni (+0,4 euro per metro cubo) dovuto alla tassa ambientale. Anche in questo caso però, ci sarebbe da parte degli enti locali l’intenzione di riporrebbe l’antico progetto di utilizzare le acque depurate dall’impianto Gennarini, progetto pensato tantissimi anni e fa e mai realizzato anche per gli elevati costi, il quale venne stralciato dai progetti da finanziare attraverso i fondi del CIS Taranto nel 2021.
Resta sullo sfondo di tutta questa vicenda la sensazione che anche qualora l’intesa tra le parti sarà trovata e sottoscritta, non è affatto certo che per il siderurgico potrà esserci un futuro produttivo degno di questo nome. Sia per le note questioni impiantistiche in cui versa lo stabilimento che attualmente si regge su un solo altoforno e dovrà farlo sino almeno all’inizio del 2026, sia per le tante incognite legate alle vicende giudiziarie ancora in corso, a quelle legate alle logiche del mercato e ai prezzi dell’energia e del gas, sino ad arrivare alla cronica instabilità politica italiana e alle incognite legate alle reali intenzioni di futuri investitori stranieri.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2025/06/19/ex-ilva-ecco-laccordo-di-programma/)
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