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Giorgio Marsiaj: «Caro cardinale Repole, Torino è ancora viva grazie alle aziende familiari»


di
Christian Benna

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L’industriale replica alle parole del cardinale sui capitali immobilizzati: «Gli italiani sono un popolo di risparmiatori, i torinesi non fanno eccezione. C’è solidità, non scarsa propensione agli investimenti»

«I soldi dei ricchi torinesi parcheggiati in banca e investiti non nell’economia reale? Capisco l’esortazione del cardinale Roberto Repole a investire di più, ma non sono d’accordo nel definire immobile la nostra borghesia. Direi che è tutt’altro che immobile». Giorgio Marsiaj, già presidente degli imprenditori torinesi, oggi delegato del presidente di Confindustria per la Space Economy, è un industriale «atipico». Lui come altri, negli anni Ottanta, a metà del suo cammino imprenditoriale, ha venduto a soci americani, la Trw automotive. Poi però nel 2015, fatto più unico che raro, ha ricomprato l’azienda. «E non smetto di investire in Sabelt. Anche perché se non si investe non si è più competitivi». Ma come lui, sostiene, Marsiaj, ci sono tante imprese di famiglia che non mollano il territorio. Anzi ne costituiscono il motore di sviluppo.

Giorgio Marsiaj, l’arcivescovo di Torino nell’omelia di San Giovanni ha bacchettato la buona borghesia torinese: tanti patrimoni in banca, pochi investimenti e molti giovani precari. Perché non è d’accordo?
«Le parole di Repole sono giuste perché ci spingono a fare di più. Ci mancherebbe. Ma se penso al ruolo delle aziende familiari che restano sul territorio nonostante le crisi e le tensioni internazionali, mi viene da dire il contrario. La nostra borghesia è viva e vegeta, e con essa il nostro  territorio».




















































Eppure nelle banche ci sono 60 miliardi di depositi e 73 di attività finanziarie. Non sarebbe meglio investire in fabbriche e in posti di lavoro?
«Gli italiani sono un popolo di grandi risparmiatori, i torinesi non fanno eccezione. Il 73% possiede un’abitazione, quasi il doppio rispetto alla media tedesca. Io ci vedo solidità non rinuncia a investire».

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La crescita è lenta, a cifre da prefisso telefonico.
«Questo è il nodo centrale. L’incertezza sul panorama internazionale frena gli investimenti. Per far ripartire l’economia ci vuole la crescita».

Senza investimenti non c’è crescita.
«A Moncalieri continuiamo a investire in ottica di sviluppo grazie anche a commesse che abbiamo preso all’estero, come quelle in Arabia Saudita. Nessuno qui si è fermato».

Se la sua azienda fosse rimasta a controllo americano sarebbe ancora qui in città?
«Ho imparato molto dai miei soci americani. Loro ovviamente sono molto pragmatici. Non so dire come avrebbero affrontato la crisi dell’auto. Posso però affermare che noi restiamo qui perché viviamo qui. Le aziende di famiglia non se ne vanno».

Da Yazaki a Grugliasco a Te Connectivity a Collegno e Magna a Rivoli. Tutte multinazionali in uscita da Torino. Meglio le aziende a guida torinese?
«Abbiamo bisogno delle multinazionali, non scherziamo. Certamente ragionano in un ottica globale. Torino è sempre al centro solo per noi torinesi. E infatti siamo presenti su più fronti. Non solo su quello del lavoro e degli investimenti produttivi».

Ad esempio?
«Penso alla Consulta di Torino per la valorizzazione dei beni artistici culturali. Ne facciamo parte in circa 40 famiglie ed eroghiamo più di 1,4 milioni di euro l’anno».

Un milione e mezzo l’anno è una cifra rilevante?
«Direi di sì. Sono investimenti personali. E non sono gli unici. Il 16 luglio ad esempio presentiamo, insieme al sindaco di Torino Stefano Lo Russo, i giardini di piazza Maria Teresa completamente rinnovati grazie al contributo di un gruppo di amici. Proprio come abbiamo fatto recentemente con la scuola Chagall».

Tutte iniziative positive. Ma alla fine dei conti tanti giovani torinesi vanno all’estero a lavorare. Non si sta facendo abbastanza per trattenerli?
«Questo è un tema fondamentale per il nostro futuro. L’impegno delle aziende familiari non manca. Senza talenti non si fa impresa. Per questo dico che il nostro sistema deve avere più coraggio. E mi ricollego alle parole di Repole: non solo più investimenti ma più alleanze per crescere e per diventare più attrattivi. Per i nostri giovani e anche per quelli che arrivano e arriveranno dall’estero».

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