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L’avvertimento di Trump alla Ue, lo scontro sui morti a Gaza |
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Due bambine palestinesi ferite, Nadin Naser, 8 anni, e sua sorella Dana, 3, ieri a Gaza (Jehad Alshrafi/Ap)
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di
Elena Tebano
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L’Unione europea sembra orientata ad accettare dazi «asimmetrici» con gli Stati Uniti, a vedere cioè le sue esportazioni negli Usa tassate più di quanto saranno tassate le merci americane importate in Europa. È l’orientamento uscito dal vertice dei leader Ue di giovedì, nonostante la contrarietà della Francia. Di fatto è una vittoria politica per il presidente americano Donald Trump (anche se l’accordo non è ancora concluso e la Commissione Ue sta al momento valutando l’ultima proposta americana, arrivata proprio giovedì). Trump già gongola e vede la disponibilità (o arrendevolezza) europea come un via libera di fatto alle sue mosse notoriamente imprevedibili e inaffidabili. «La scadenza del 9 luglio non è decisiva» ha detto ieri (è il termine oltre il quale, senza un accordo, aveva minacciato di alzare i dazi alla Ue). «Possiamo fare tutto quello che vogliamo, potremmo estenderla. Potremmo accorciarla. Mi piacerebbe accorciarla. Mi piacerebbe mandare lettere a tutti e dire “Congratulazioni, pagherete il 25%”» ha aggiunto. Poi dallo Studio Ovale ha avvertito l’Ue: «Imparerà presto a non essere cattiva con gli Usa».
L’Unione europea al momento appare piuttosto rassegnata. Ricorda Francesca Basso: Attualmente Washington sta imponendo dazi «reciproci» del 10% sulla maggior parte dei prodotti Ue, del 25% su auto e componenti auto «made in Ue» e del 50% su acciaio e alluminio. Trump a fine maggio ha minacciato di imporre tariffe del 50% su tutti i prodotti «made in Ue» se non sarà raggiunta un’intesa entro la fine della tregua. Inoltre gli Stati Uniti stanno valutando se estendere le tariffe ad altri settori strategici come quello farmaceutico, dei semiconduttori e degli aerei. Si tratta di filiere, insieme a quelle dell’auto, dell’acciaio e dell’alluminio estremamente importanti per l’industria europea, specie tedesca e italiana. Su questi settori, su un’aliquota accettabile, su alcune barriere non tariffarie, su specifici standard industriali e sugli acquisti strategici (energia e difesa) si starebbe concentrando il negoziato fra le due sponde dell’Atlantico. Fonti Ue sottolineano che l’accordo Nato per un aumento delle spese della difesa dal 2% al 5% del Pil avrà ricadute positive sul negoziato in corso con gli Usa. Ma viene mantenuto un alto riserbo sui dettagli, anche se la Commissione in più occasioni ha sottolineato che le regole sulle Big Tech (Dsa e Dma) non sono negoziabili nonostante le insistenze Usa.
Italia e Germania puntano a chiudere con dazi del 10%, ma sarebbero disposte ad accettare persino il 25% («obtorto collo», dice Basso), perché lo ritengono preferibile all’attuale incertezza commerciale. Quanto ai dazi del 10%, «Meloni è convinta che possa essere il male minore, ha detto che molte nostre aziende possono reggere l’impatto, ha sulla propria scrivania analisi secondo le quali il costo verrebbe scaricato sul mercato americano, non sul fatturato delle imprese italiane» nota Marco Galluzzo. Cedere a una richiesta del genere però ha molte controindicazioni, come spiega Federico Fubini: rischia prima di tutto di convincere Trump che può ottenere tutto quello che chiede. E quindi rischia di spingerlo ad alzare ancora di più la posta (cosa che il presidente americano ama fare, a prescindere).
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Scrive Fubini: L’Europa resta la sola grande potenza economica a non aver messo alcuna pressione sul presidente degli Stati Uniti. Quindi la pressione di quest’ultimo sull’Europa prosegue. Persino l’apertura di Trump a concedere più tempo ai negoziati, con la pistola sul tavolo di dazi generali al 50% se l’esito non è di suo gradimento, sembra rivolta allo stesso obiettivo: spingere l’Europa ad accettare come normale ciò che pochi mesi fa era abnorme, smontare più pezzi della legislazione europea sgraditi ai grandi gruppi che hanno pagato la campagna elettorale sua e pagheranno quella dei repubblicani alle elezioni di mid-term nel 2026. Ciò che Trump ha già ottenuto non è poco. L’impegno dei Paesi europei a una spesa nella difesa al 3,5% del Pil supera il 2,7% che oggi, secondo il dipartimento della Difesa, gli stessi Stati Uniti versano. L’implicazione è che l’industria europea non riuscirà ad assorbire una crescita così forte degli ordini, dunque il fatturato in Europa di gruppi americani della difesa come Lockheed Martin non potrà che salire. Governi molto esposti all’aggressività di Mosca — dai baltici, alla Polonia, alla Romania, a Finlandia e Danimarca — hanno poi opposto resistenza a Bruxelles alle ritorsioni contro i dazi americani. Temevano che uno scontro commerciale più duro spingesse Trump a ritirare le garanzia di sicurezza dall’Europa. Così il negoziato commerciale si è intrecciato a quello militare e, di riflesso, l’aggressività di Trump ha trovato spazio in campi sempre nuovi. Il presidente del resto ha colto subito che i principali Paesi esportatori, dalla Germania all’Italia, e grandi gruppi come Lvmh di Bernard Arnauld, temevano le ritorsioni di Bruxelles. Avevano visto l’escalation delle tariffe contro la Cina fino al 130% e ora sperano di chiudere con incrementi al 10%. Solo che con Trump non è mai così semplice. In primo luogo perché i dazi già in vigore non sono trascurabili: quello generale è salito dal 2,2% medio al 10%; su acciaio e alluminio, al 50%; sulle auto al 25%. In più, appunto, Trump mantiene la minaccia di dazi al 50% su tutto l’export europeo. Allungare i tempi per Trump significa dunque cercare di ottenere sempre di più dopo aver messo l’Europa sotto scacco. L’obiettivo più immediato riguarda ora la regolamentazione dei colossi digitali. Il Digital Market Act del 2022 tutela le start up europee dagli abusi delle grandi imprese di Silicon Valley. Ma nel negoziato gli Stati Uniti sono riusciti a fare entrare il suo indebolimento: si discute su un ruolo di co-decisione dei colossi digitali coinvolti nel modo in cui la legge si applica a loro, secondo Handelsblatt. Inoltre Trump ha portato Germania, Francia e Italia nel G7 a esentare le imprese americane dalla Global Minimum Tax, stabilita dal G20 sotto la presidenza del governo di Mario Draghi nel 2021.
Ieri intanto Trump ha dichiarato via social di voler sospendere immediatamente i colloqui commerciali con il Canada che intende imporre una tassa sulle aziende tecnologiche. Trump l’ha definita «un attacco diretto e palese al nostro Paese». La tassa si applicherà a società come Amazon, Google, Meta, Uber e Airbnb con un prelievo del 3% sulle entrate provenienti dagli utenti canadesi. «Sulla base di questa tassa ingiusta, con la presente interrompiamo TUTTE le discussioni sul commercio con il Canada, con effetto immediato. Comunicheremo al Canada la tariffa che pagherà per fare affari con gli Stati Uniti d’America entro i prossimi sette giorni», ha dichiarato Trump nel suo post, aggiungendo che il Canada stava «ovviamente copiando l’Ue, che ha fatto la stessa cosa e che è attualmente in discussione con noi». «Economicamente abbiamo un tale potere sul Canada. Preferiamo non usarlo» ha scritto. «Non andrà bene per il Canada. Sono stati sciocchi a farlo».
Giuliana Ferraino ricapitola cosa ha ottenuto finora Trump con le sue dichiarazioni roboanti e avverte: La strategia dei dazi di Trump rappresenta una scommessa ad alto rischio sull’economia americana. I costi economici sono già evidenti. Nel breve termine, i dazi hanno creato nervosismo e volatilità sui mercati, listini Usa inclusi. Nel medio-lungo termine, però, potrebbero rallentare la crescita, aumentare l’inflazione strutturale e ridurre la produttività se incorporati come costi permanenti. Se gli accordi raggiunti portano a Trump benefici elettorali e geopolitici, restano molte incognite tecniche e legali sulla loro implementazione effettiva. Si attende, ad esempio, la valutazione sul merito del ricorso che ha congelato (per ora) la sentenza della Corte del Commercio internazionale di New York, che ha definito i dazi reciproci illegali.
Lo scontro sulla distribuzione di aiuti (con morti) a Gaza
Gli Stati Uniti stanno facendo pressioni sul premier israeliano Benjamin Netanyahu perché riprenda le trattative per il cessate il fuoco in cambio della liberazione dei 49 ostaggi israeliani (20 ancora in vita) presi da Hamas. Per il presidente Usa Trump, «l’intesa è vicina» e si farà «entro la prossima settimana». Ma per ora la guerra va avanti.
Intanto i palestinesi morti a Gaza sono più di 55 mila. Sempre più spesso vengono uccisi intorno ai quattro «centri di distribuzione rapida» di aiuti umanitari, gestiti dall’organizzazione americana Gaza Humanitarian Foundation. Almeno 519 persone nelle ultime settimane sono morte mentre cercavano di arrivare a prendere il cibo. Ieri nella Striscia ci sono stati altri 21 morti, secondo le autorità sanitarie locali: nove sono stati ammazzati nel bombardamento di una scuola che ospitava famiglie sfollate nel sobborgo di Sheikh Radwan a Gaza City e 3 persone sono state uccise (e decine sono rimaste ferite) dagli spari israeliani mentre attendevano i camion degli aiuti nel centro di Gaza. Jens Laerke dell’Onu ha definito i centri per gli aiuti «trappole della morte». Davide Frattini scrive dello scambio di accuse in proposito: testimoni locali riferiscono che i soldati israeliani hanno sparato più volte verso i palestinesi in cammino verso i magazzini dell’organizzazione. I portavoce dell’esercito sostengono che le truppe hanno tirato «dei colpi di avvertimento, quando si sono sentite in pericolo».
Ora un’inchiesta del quotidiano israeliano Haaretz, riportata nella Rassegna di oggi da Gianluca Mercuri, ha raccolto le testimonianze dei soldati israeliani, che danno ragione alla versione palestinese: denunciano che i superiori li spingono a sparare deliberatamente contro i gazesi disarmati in attesa di aiuti umanitari. «Dalle conversazioni con ufficiali e soldati è emerso che i comandanti hanno ordinato alle truppe di sparare contro le folle per allontanarle o disperderle, anche se era chiaro che non rappresentavano una minaccia» scrive Haaretz.
«Lavorare con una popolazione civile quando il tuo unico mezzo di interazione è aprire il fuoco è altamente problematico, per non dire altro. Non è eticamente accettabile che le persone debbano raggiungere, o non riescano a raggiungere, una zona umanitaria sotto il fuoco di carri armati, cecchini e colpi di mortai. Una brigata da combattimento non ha gli strumenti per gestire una popolazione civile in una zona di guerra. Sparare con i mortai per tenere lontana la gente affamata non è né professionale né umano. So che tra loro ci sono agenti di Hamas, ma ci sono anche persone che vogliono semplicemente ricevere aiuti. Come Paese, abbiamo la responsabilità di garantire che ciò avvenga in modo sicuro» ha raccontato al giornale israeliano un ufficiale israeliano che presta servizio di sicurezza in un centro di distribuzione.
Le critiche della Cassazione al decreto sicurezza
Il governo aveva approvato il decreto sicurezza come un provvedimento centrale, che esprimeva appieno la sua politica in fatto di sicurezza. «Il governo compie un passo decisivo per rafforzare la tutela dei cittadini, delle fasce più vulnerabili e dei nostri uomini e donne in divisa» aveva scritto sui social la premier Giorgia Meloni. «Legalità e sicurezza sono pilastri della libertà. E noi continueremo a difenderli con determinazione».
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Ora però l’ufficio del Massimario della Cassazione, con una relazione di 129 pagine, critica duramente quel decreto, dicendo che sono sbagliati sia il modo in cui è stato approvato che i suoi contenuti centrali. «Sono incredulo, ho dato mandato all’Ufficio di Gabinetto del ministero di acquisire la relazione e di conoscerne l’ordinario regime di divulgazione» ha commentato Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
Il parere della Corte di Cassazione non è vincolante, ma è estremamente autorevole e mette seri dubbi sul provvedimento fortemente voluto dal governo Meloni e approvato in tutta fretta con la scorciatoia del provvedimento d’urgenza dopo mesi di dibattito parlamentare. Le critiche sono durissime (e riprendono questioni poste a suo tempo dall’opposizione): «È un provvedimento che apre la strada a una possibile violazione di plurimi principi di costituzionalità in materia penale», scrive la Cassazione.
Il testo era stato approvato in prima lettura alla Camera nel settembre 2024 ed era in attesa dell’esame del Senato, ma il governo è intervenuto trasformando il disegno di legge in decreto legge, subito entrato in vigore. Secondo la Cassazione, però: «Non c’è stato alcun fatto nuovo configurabile come caso straordinario di necessità e di urgenza» che giustificasse un decreto. La relazione inoltre rileva «vizi di manifesta irragionevolezza e di violazione del principio di proporzionalità» rispetto alle pene introdotte dal decreto. Come nel caso delle cosiddette «aggravanti di luogo»: il decreto sicurezza infatti inasprisce le pene per alcuni reati se commessi ad esempio nelle stazioni ferroviarie o nelle loro immediate adiacenze. E introduce il nuovo reato di blocco stradale (pena da sei mesi a due anni). Per la Cassazione viene data gravità penale a «comportamenti che molto spesso sono costituiti da riunioni pacifiche e atti di resistenza passiva, con l’effetto di incidere profondamente sull’attività di pubblica manifestazione del dissenso».
Criticata anche la cosiddetta impunità per gli agenti dei servizi segreti anche quando promuovano gruppi eversivi o terroristici «a fini investigativi». Un potere che scavalca ogni controllo democratico. Viene censurata anche possibilità di portare in carcere donne in gravidanza o madri di figli piccoli: «una patente violazione dei principi costituzionali di tutela della maternità e dell’infanzia e di umanità della pena».
La reazione della maggioranza è stata tutt’altro che improntata alla collaborazione istituzionale: ha accusato la Cassazione di fare politica e ha annunciato che andrà avanti.
Le altre notizie importanti
- Il presidente americano Donald Trump ha dichiarato di aver «salvato» il dittatore politico-religioso dell’Iran Ali Khamenei «da una morte brutta e ignominiosa». «Sapevo esattamente dove si trovava Khamenei e non ho permesso che lo colpissero. Nell’atto finale della guerra, ho chiesto a Israele di richiamare gli aerei. Erano diretti a Teheran, in cerca del grande giorno, forse il colpo di grazia!» ha detto. Qui Guido Olimpio e Greta Privitera ricostruiscono chi, tra i vertici della dittatura islamica, è stato ucciso dagli attacchi israeliani. Circa una cinquantina di persone, tra cui almeno 11 (forse fino a 14) ricercatori del settore nucleare.
- La Corte Suprema americana ha limitato il potere dei giudici dei tribunali inferiori di sospendere le decisioni di Trump in materia di cittadinanza. La Corte ha tolto ai giudici delle corti federali il diritto di pronunciare sentenze valide in tutto il Paese, limitando il loro impatto al caso specifico in discussione anche quando viene leso un diritto valido erga omnes. La Corte deve ancora pronunciarsi sulla costituzionalità della decisione del presidente sullo ius soli (che quindi potrebbe non essere applicabile). Trump ha accolto la sentenza come una vittoria. Massimo Gaggi spiega che la Corte Suprema, in gran parte nominata dai repubblicani, ha seguito le divisioni ideologiche, più che gli argomenti di diritto. E ha permesso un’ulteriore espansione dei poteri di Trump.
- Francesco Verderami spiega che, vista la spesa per il riarmo, l’Italia ha bisogno di parecchi soldi per far quadrare i conti: «Servirebbero otto miliardi per la Difesa, altri tre per la Sanità, poco meno per tagliare di due punti l’aliquota Irpef del 35%. Così tra annessi e connessi, tipo le cambialette del superbonus, si arriva (per ora) a venti miliardi». Alla premier Giorgia Meloni può venire incontro la tanto vituperata Europa, che ha appena dato il via libera alla revisione del Pnrr, permettendo di dirottare parte dei fondi su altri progetti. «Tradotto dal burocratese, vuol dire che l’Europa fornisce agli Stati membri con bilanci in sofferenza (come l’Italia) gli strumenti per superare le loro difficoltà» scrive Verderami.
- La reazione dell’elettorato di fronte agli ultimi eventi internazionali premia le forze di governo, secondo il sondaggio di Pagnoncelli. Fratelli d’Italia cresce di quasi un punto nell’ultimo mese e tocca il 28,2%, il livello più alto nel corso dell’ultimo anno. La Lega migliora di un punto all’8,8%, Forza Italia cresce e si attesta all’8,4%. Le forze di governo aumentano del 2,5%. Il Pd perde quasi un punto, collocandosi al 21,4%. Ancora più evidente la contrazione del M5S che perde oltre un punto rispetto allo scorso mese e viene oggi stimato al 13,3%.
- Questo fine settimana le temperature potrebbero raggiungere, e in alcuni casi superare, i 40 gradi. Le punte più alte sono attese in molte aree interne del Centro-Sud, nel Foggiano, in Sicilia (ieri 39 °C a Francofonte, in provincia di Siracusa) e in Sardegna (38,5 a Berchidda vicino Olbia). A Bolzano e Roma sono previsti 38 gradi, 37 a Torino, Milano, Verona, Firenze e Napoli. Il ministero della Salute indica per domani il massimo livello di rischio caldo in 19 città delle 27 monitorate. È l’effetto del surriscaldamento climatico e in particolare dei mari che diventano molto più alte della media. Spiega tutto Paolo Virtuani.
- Leonardo Maria Del Vecchio, investitore in proprio ma anche manager di Essilux, e la sorella Marisa hanno depositato una causa contro i 4 fratelli che hanno accettato con beneficio di inventario l’eredità del padre Leonardo Del Vecchio. Gli 8 eredi totali di Del Vecchio hanno quote della Delfin, la holding che esprime un valore di mercato pari a 50 miliardi tra le quote in Essilux, Covivio e nelle banche. Daniela Polizzi spiega le motivazioni della causa (stamani sul sito).
- Grazie al Pnrr, oggi in Italia le pubbliche amministrazioni riescono in media a rispettare il termine di legge dei 30 giorni per pagare le fatture ai fornitori (60 giorni se si tratta di aziende che operano nel campo della sanità). Prima ne impiegavano in media 120.
- Primo sì all’estradizione dalla Grecia di Francis Kaufmann per i delitti di Villa Pamphili. Intanto si indaga sui fondi del ministero al suo film.
- È stato condannato a 20 anni di carcere Riccardo Chiaroni, il ragazzo che nella notte tra il 31 agosto e il 1° settembre, quando era ancora 17enne, sterminò con 108 coltellate il padre, la madre e il fratellino di 12 anni nella villetta di famiglia a Paderno Dugnano, nel Milanese.
- Al processo romano che riguarda le plusvalenze della Juventus, la società ha chiesto di patteggiare. I pm Lorenzo del Giudice e Giorgio Orano hanno dato il via libera alla proposta di patteggiamento: Andrea Agnelli 1 anno e 9 mesi; Pavel Nedved 1 anno e due mesi; Fabio Paratici 1 anno e 6 mesi; Cesare Gabasio 1 anno e 6 mesi mentre Stefano Cerrato potrebbe uscire con 1 anno di condanna.
- Elvira Serra racconta il secondo giorno delle nozze Bezos-Sánchez a Venezia, che poi è un «matrimonio finto, perché era già stato registrato in America, dopo la firma di un accordo prematrimoniale adeguato alle risorse in campo». Ieri di vero c’è stato «lo sfoggio dei muscoli (e dei miliardi) del quarto uomo più ricco del mondo con l’ex giornalista, imprenditrice, scrittrice, pilota di elicotteri, benefattrice e chi più ne ha più ne metta».Gli abiti degli sposi erano di Dolce & Gabbana, alla cerimonia hanno assistito Bill Gates, Oprah Winfrey, Ivanka Trump, la regina Rania di Giordania, François-Henri Pinault, Orlando Bloom e Leonardo DiCaprio, mentre Lady Gaga non canterà alla festa di stasera all’Arsenale. E nemmeno Elton John. «La buona notizia – conclude Serra – è che oggi finisce tutto».
- Jannik Sinner ha messo fine alla collaborazione con Marco Panichi (preparatore atletico) e Ulises Badio (fisioterapista), iniziata a settembre: Gaia Piccardi spiega perché.
- La Rai ha presentato i palinsesti televisivi della prossima stagione: torna Roberto Benigni, arrivano Whoopi Goldberg e Kevin Spacey. Confermati Carlo Conti (anche con il Festival di Sanremo), Antonella Clerici e Milly Carlucci che ripropongono i loro storici format: «Tale e Quale Show», «The Voice Senior», «Ballando con le stelle».
Il Caffè di Massimo Gramellini
Strisce di futuro A Torino gli attivisti di Fridays for Future hanno preso secchio e pennello per ridipingere alcune strisce pedonali e la segnaletica di una pista ciclabile ormai invisibile perché consunta dall’uso, denunciando la latitanza di chi avrebbe dovuto occuparsene. Da anni mi permetto di incoraggiare questo genere di iniziative, pur non avendo alcun titolo per farlo, al di là della simpatia per le battaglie ambientali. La mia opinione, probabilmente bizzarra, è che, se tu blocchi una strada o imbratti un quadro, attiri sì l’attenzione, ma per i motivi sbagliati. Tutti parleranno della strada bloccata o del quadro imbrattato e nessuno dell’emergenza e dell’incuria in cui versano il pianeta e le nostre città. Anzi, chi è stato danneggiato dalla protesta (e non sono mai i potenti, che viaggiano in corsia preferenziale e quando vogliono visitare un museo lo fanno chiudere al pubblico) finirà per sottovalutarne le ragioni, associandole al fastidio subìto. Ogni volta mi è stato risposto che gli attivisti ambientali fanno notizia solo se bloccano una strada e non anche quando la ridipingono. Verissimo, purtroppo. Talmente vero che mi ero ripromesso di non spendere mai più una riga su chi blocca le strade e di dedicare invece un Caffè a chi le ridipinge. Eccolo qua, con gli applausi scroscianti dell’autore. Sicuro che anche i lettori si ritroveranno dalla parte di chi esprime la sua volontà di salvare il mondo mostrando agli altri come si fa a ripararlo.
Grazie per aver letto Prima Ora, e buon sabato
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