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Germania, separata dal figlio di un anno perché indagata per supporto alla Palestina


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Una donna palestinese-giordana con residenza tedesca ha denunciato di essere stata separata dal figlio di un anno dopo che le autorità tedesche hanno negato il rientro in Germania al bambino, dopo una vacanza in Giordania, per via di una presunta “minaccia per la sicurezza”.

Il Centro di Supporto Legale Europeo (ELSC) ha riportato la vicenda e definito il caso un esempio di strumentalizzazione delle normative sulla residenza, da parte dello Stato tedesco, per reprimere il sostegno alla causa palestinese. Dietro alla vicenda ci sarebbe infatti l’impegno pro Palestina della donna.

Madre palestinese separata dal figlio di un anno: la denuncia dell’ELSC

“Lo stato tedesco sfrutta sistematicamente il diritto di residenza, asilo e cittadinanza per punire comunità già emarginate,” ha dichiarato un portavoce dell’ELSC.

“Lo stato tedesco sfrutta sistematicamente il diritto di residenza, asilo e cittadinanza per punire comunità già emarginate” ha dichiarato un portavoce dell’ELSC commentando il caso della donna, su cui le fonti mantengono al momento l’anonimato per via del procedimento giudiziario in corso.

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Dal 2019, l’ELSC avrebbe infatti documentato almeno 22 casi, in Germania, in cui lo status di residenza e le restrizioni alla libertà di movimento sarebbero stati utilizzati in modo “politico”. Quanto al fatto che il bambino sia stato, seppure indirettamente, associato a una “minaccia per la sicurezza”, l’ELSC ritiene che la cosa oltrepassi i limiti del “grottesco”. Ma cosa è successo, esattamente?

Il bambino una “minaccia alla sicurezza”. La famiglia separata per nove mesi

La donna, residente in Germania dal 2018 con un permesso di soggiorno per lavoratori qualificati, lavorava come infermiera a Francoforte sul Meno e nel 2022 aveva accolto il marito in Germania tramite ricongiungimento familiare. Nel 2023, la coppia aveva avuto un figlio, nato a Francoforte. Nel tentativo di ottenere la residenza permanente, la famiglia aveva ottenuto permessi temporanei. Quanto al bambino, secondo alcune fonti avrebbe un diritto indipendente di residenza, secondo altre, invece, avrebbe un permesso temporaneo, con il divieto di entrare e uscire dal Paese.

Ad agosto 2024, quando il bambino aveva un anno, la famiglia si era recata in Giordania per farlo conoscere ai nonni, ma al momento di tornare in Germania, dopo due settimane, al bambino sarebbe stato negato il rientro. La motivazione presentata in quel momento sarebbe stata una questione burocratica minore, risolvibile rapidamente, ma quattro mesi dopo, nell’agosto del 2024, l’ambasciata tedesca in Giordania avrebbe inviato alla donna una lettera in cui si affermava che al bambino non era permesso rientrare per motivi di impedimento secondo l’articolo 54(1) n. 2 o 4 della Legge sulla Residenza. Questa norma prevede che la residenza possa essere rifiutata se un richiedente è stato condannato per uno o più atti criminali oppure se ha violato restrizioni o divieti di residenza, mettendo così in pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico.

Il bambino, sotto questa luce, sarebbe stato quindi considerato una “minaccia alla sicurezza”. Leggendo la lettera, l’avvocato della donna aveva pensato che ci fosse un malinteso risolvibile in breve tempo. Anche il padre del bambino era tornato in Germania per motivi di lavoro, dando per scontato di rivedere moglie e figlio in tempi rapidi. La famiglia è rimasta invece separata per un totale di nove mesi.

Sull’attivismo propal della donna indagini da parte dell’intelligence

Solo nel dicembre 2024 la donna ha appreso di essere sotto indagine da parte del Verfassungsschutz, il servizio di intelligence interno tedesco, per il suo presunto coinvolgimento con gruppi di solidarietà alla causa palestinese, incluso Samidoun Deutschland, organizzazione bandita in Germania nel 2023.

La donna ha sostenuto di aver sempre mostrato il suo impegno civile in modo legale. “Non ho mai oltrepassato alcuna linea rossa. Sono sempre andata a manifestazioni che erano accettate dalle autorità in Germania. Ho sempre registrato qualsiasi azione volessi fare” ha dichiarato. Per questo, ritiene che il caso rappresenti un tentativo di reprimere il suo attivismo e di compromettere i suoi diritti di residenza attraverso pretesti burocratici, allo scopo di allontanarla dal suolo tedesco.

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Si attende l’epilogo legale da parte del tribunale di Berlino-Brandeburgo

Nel novembre 2024, l’avvocato della donna ha presentato un appello urgente al tribunale amministrativo di Berlino, ma questo ha stabilito che il rientro del bambino non fosse un problema urgente, suggerendo che la donna potesse tornare in Germania lasciando il figlio ai nonni, oppure rimanere in Giordania e attendere insieme al bimbo l’esito delle indagini a suo carico. Quest’ultima soluzione avrebbe tuttavia potuto costarle la perdita del permesso di residenza in Germania, mentre la prima avrebbe separato un bambino di un anno dai suoi decisioni. La decisione è stata quindi contestata presso il Tribunale Amministrativo Superiore di Berlino-Brandeburgo, che dovrebbe pronunciarsi a breve.

Parallelamente, l’ELSC si è rivolto alla Corte Costituzionale Federale per contestare trattamento del caso da parte del sistema giudiziario tedesco. L’esito finale potrebbe stabilire importanti precedenti per il futuro e per famiglie che si trovano in situazioni simili.





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