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Il “caso MPS” e il saccheggio del risparmio


La cessione del 15% di Monte dei Paschi di Siena (MPS) da parte del governo Meloni, raccontata da Altreconomia (n. 264, giugno 2025), non è solo un’operazione finanziaria: è un’istantanea di un Paese che si svende, pezzo dopo pezzo, sotto gli occhi di una politica che sembra più interessata a compiacere i soliti noti che a difendere gli interessi dei cittadini. Qui non si tratta di un semplice collocamento azionario, ma di un’operazione che puzza di favoritismo, opacità e, diciamolo, di una resa incondizionata ai grandi poteri finanziari globali. È il tipo di storia che fa ribollire il sangue: una banca storica, risanata con i soldi di tutti noi, viene servita su un piatto d’argento a un ristretto club di privilegiati, mentre il risparmio degli italiani scivola sempre più nelle grinfie dei colossi americani.

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Un collocamento che grida conflitto d’interessi

Partiamo dai fatti, nudi e crudi. Il governo decide di cedere il 15% di MPS, banca salvata con oltre 20 miliardi di euro pubblici negli ultimi anni, da quando il disastro dell’acquisizione di Antonveneta e i derivati tossici l’avevano portata al collasso. Per gestire il collocamento, si sceglie Banca Akros, una realtà minore, posseduta al 100% da Banco BPM, che guarda caso è uno dei quattro acquirenti selezionati. Non un colosso internazionale come Goldman Sachs o JPMorgan, che avrebbe potuto garantire trasparenza e solidità, ma una banca legata a doppio filo a uno dei beneficiari dell’operazione. È come affidare l’arbitraggio di una partita a un giocatore in campo.

E chi sono gli altri tre acquirenti? Anima Sgr, in procinto di essere acquisita proprio da Banco BPM; il gruppo Caltagirone, con i suoi legami storici al potere economico italiano; e la holding Delfin, degli eredi Del Vecchio, che non ha bisogno di presentazioni. Quattro soggetti, non uno di più, che – sorpresa – presentano offerte identiche in appena nove minuti, come riportato dal Corriere della Sera (13 giugno 2025). Un caso? O un copione scritto in anticipo, con il governo che consegna un pezzo di MPS a un “salottino” di amici fidati? La Procura di Milano, con la Guardia di Finanza che acquisisce documenti da Banca Akros (MilanoFinanza, 14 giugno 2025), sembra pensarla come molti cittadini: qui c’è qualcosa che non torna.

Il contesto: il saccheggio del risparmio italiano

Ma questa non è solo la storia di un’operazione opaca. È un capitolo di una vicenda più grande, che riguarda il destino del risparmio italiano, una ricchezza da oltre 6.000 miliardi di euro che rappresenta uno degli ultimi baluardi di questo Paese. Le banche italiane, da Unicredit a Intesa Sanpaolo, da Fineco a BPER, sono sempre più infiltrate da fondi americani come JPMorgan, BlackRock e Credit Agricole. Questi colossi, che detengono quote significative anche in ex banche popolari come Banco BPM (dove BlackRock e Credit Agricole superano il 10% insieme), non si limitano a investire: gestiscono il risparmio degli italiani, drenandolo verso i mercati internazionali. Quasi 1.800 miliardi di euro di risparmio gestito finiscono in azioni di colossi quotati a Wall Street, mentre 800 miliardi sono in fondi speculativi, spesso lontani dagli interessi dell’economia reale italiana.

MPS, con la sua storia secolare e il suo ruolo di banca di riferimento per le piccole e medie imprese, poteva essere un argine a questa deriva. Invece, viene frammentata e svenduta. La Commissione Europea aveva imposto la privatizzazione entro il 2024, ma il modo in cui il governo Meloni ha eseguito l’ordine – con una procedura che sembra cucita su misura per favorire pochi – è un tradimento. Non solo dei contribuenti, che hanno pagato il risanamento, ma di un’idea di sovranità economica che sembra svanita.

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Le domande che nessuno pone

Qui si apre il vero nodo, quello che fa montare la rabbia. Chi decide davvero? Il governo Meloni, che si vanta di difendere l’“italianità”, sta davvero guidando il gioco o è solo un esecutore di ordini che arrivano da Bruxelles e dai mercati globali? E se è così, perché non opporsi? Perché non usare MPS come leva per rafforzare il credito alle imprese italiane, invece di cederla a un’élite di amici e a fondi stranieri che vedono nell’Italia solo un serbatoio di profitti? L’indagine della Procura, per ora, sembra arrancare: MilanoFinanza parla di un’inchiesta “in salita”, come se le regole formali rispettate nell’operazione fossero un muro insormontabile. Ma il problema non è solo legale: è politico e morale. È il silenzio assordante di un governo che, mentre le banche popolari cadono una dopo l’altra (Banca Popolare di Sondrio scalata da BPER, a sua volta partecipata da JPMorgan), si preoccupa solo di proteggere i Caltagirone e i Del Vecchio.

Un sistema che si piega ai potenti

La vicenda MPS è lo specchio di un’Italia che ha smesso di lottare per se stessa. Il governo Meloni, che dovrebbe difendere il patrimonio nazionale, sembra più impegnato a gestire una transizione pilotata verso un monopolio del credito, dove pochi attori italiani fanno da prestanome per i veri padroni: i fondi americani. È una resa camuffata da pragmatismo, un gioco in cui i contribuenti pagano il conto e i profitti finiscono altrove. La banca più antica del mondo, risanata con il sudore degli italiani, diventa così una pedina in un risiko finanziario globale, dove l’Italia è solo un mercato da spremere.

Non è solo uno scandalo, è una ferita. È la dimostrazione che la politica ha abdicato al suo ruolo, lasciando che il risparmio degli italiani, il nostro vero punto di forza, diventi la gallina dalle uova d’oro per chi comanda davvero. E mentre il governo tace, il messaggio è chiaro: gli interessi dei cittadini vengono ultimi, molto dopo quelli del “salottino” e dei colossi di Wall Street.



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