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Open innovation 2025, cosa funziona e cosa non funziona


Open innovation 2025: a che punto siamo?
Settimana scorsa, al Mind the Bridge Scaleup Summit Spain ospitato da Tech Barcelona, ho avuto l’opportunità di confrontarmi con alcune grandi aziende che, da tempi non sospetti, sono concretamente attive sul fronte dell’Open Innovation: Iberdrola ci lavora dal 2008, Telefonica con Wayra è stata tra i primi (2011) a lanciare e successivamente operazionalizzare (ed abbandonare) il modello dei Corporate Accelerator.
Per evitare la retorica dell’Innovation Teather, abbiamo chiamato la sessione – che vedeva la presenza di amici come con Irene Gomez (Wayra, Telefónica), Marta Pérez Mérida (Perseo Iberdrola), Paula Sanz (Repsol) e Bessem Ayari (ERGO Munich Re) – “The Doom and Gloom of Corporate Venturing”.

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Ne è emersa una prospettiva sorprendentemente onesta su ciò che funziona (e ciò che non funziona) nell’arena dell’Open Innovation 2025. Vi lascio qualche highlight.

Marta Pérez Mérida (Perseo Iberdrola), Bessem Ayari (ERGO Munich Re), Alberto Onetti (Mind the Bridge), Paula Sanz (Repsol) e Irene Gomez (Wayra, Telefónica) durante il panel “The Doom and Gloom of Corporate Venturing“.

Open innovation 2025, il percorso di quattro aziende

Abbiamo ripercorso i rispettivi innovation journey delle quattro aziende:

• Iberdrola è partita – poco meno di vent’anni fa – con il CVC (Corporate Venture Capital) per poi affiancarvi un acceleratore che è stato rapidamente abbandonato per evolvere in un Venture Client. Nel 2020 ha lanciato Perso Builder (Perso è il nome della entità che gestisce le attività di open innovation), che è un modello molto industriale di Venture Builder (obiettivo è lanciare joint venture).

• Telefónica, come detto, è stata tra le prime aziende al mondo a lanciare il modello dei Corporate Accelerator, scalarlo a livello internazionale (America Latina, Germania e Regno Unito) per poi abbandonarlo e focalizzarsi su un mix tra Venture Client e un micro Venture Capital fortemente orientato al servizio del business. Negli ultimi anni ha lanciato – per poi abbandonare – un Venture Builder. Altro cambiamento recente la totale esternalizzazione (in una società con un proprio P&L) del team di innovazione. I cambiamenti recenti al vertice ci lasciano presagire altre novità.

• Ergo (parte di Munich Re) è invece partita, verso la metà dello scorso decennio, con Venture Building e CVC. Il primo è stato abbandonato qualche anno dopo per lasciare spazio ad un Venture Client focalizzato su bisogni operativi dell’azienda. Nel frattempo il CVC da strategico ha assunto un approccio molto più finanziario.

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• Anche Repsol ha iniziato con il CVC (nel 2016) per poi, nel 2021, avviare un programma di Venture Clienting (chiamato IdeAction). Parte interessante è la connessione con il reparto di R&D (facilitata dal comune riporto al CTO), che consente di avere un impianto pilota con cui testare le soluzioni delle startup.

Perché si cambia rotta nei percorsi di open innovation

Come si vede, sono percorsi diversi, connotati da significativi di rotta. Abbiamo cercato di riflettere sulle ragioni che li hanno determinati. Tra le tante, ne sono emerse un paio:

Crescente maturazione di esperienza nell’uso dei diversi strumenti che ha portato, da un lato, ad abbandonare/ridimensionare quelli che non hanno prodotto risultati in favore di modelli più efficaci e performanti. Dalla discussione è emerso come un continuo benchmarking con altri player internazionali è essenziale per poter fare scelte consapevoli e non umorali/autoreferenziali.

Cambiamenti di governance che spesso determinano la perdita di supporto ad iniziative che non hanno mostrato capacità di produrre risultati tangibili e visibili (situazione peraltro diffusa nel campo dell’innovazione ove gli orizzonti di ritorno non sono brevi). Pertanto risulta fondamentale produrre quick wins e tracciare e comunicare i risultati prodotti è stata segnalata come

L’errore più comune delle startup di fronte alle aziende

Uno degli errori più grandi che fanno le startup quando si rivolgono alle aziende è non capire che, dentro le aziende, convivono unità con obiettivi diversi.
Investimenti e Venture Client sono due ambiti profondamente diversi che hanno decisori, tempistiche ed aspettative differenti.
Le startup spesso non colgono questa differenza e non sono strutturate per fare business development (che è altra cosa da fare pitching per raccogliere capitali).

Un momento dello Scaleup Summit a Barcellona

Venture Client, i risultati non sono garantiti

I ratio di successo del Venture Client non sono molto dissimili al Venture Capital: solo una piccola percentuale delle collaborazioni porta a risultati che hanno un impatto “material” per l’azienda (cioè abilitare nuovi business con un contributo economico significativo che, per grandi aziende, significa nell’ordine di centinaia di milioni o qualche miliardo).

Il numero di PoC o la percentuale di piloti che vengono implementati a livello industriale sono proxy, non obiettivi. Tendono ad essere delle vanity metric che non rappresentano la vera storia. Che dice che molti pochi di questi hanno reale impatto ma che quei pochi possono salvare l’azienda. Per chi fa Open innovation è fondamentale chiarire internamente le aspettative e il processo, pena essere percepiti come poco concreti


Venture Building? Usare con cautela.

Il Venture Building è l’ultimo arrivato nella casa dell’Open Innovation. È stato accolto con entusiasmo e curiosità. Tuttavia molte aziende, che sono state le prime ad adottarlo, hanno già fatto marcia indietro. E chi continua a farlo tende ad adottare sempre più approcci case-by-case, evitando modelli rigidi e standardizzati.

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