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Ex Ilva, due piani per salvarla: posti a rischio a Taranto senza la nave rigassificatrice


di
Michelangelo Borrillo

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Entro una settimana andrà imboccata una delle due strade, non si potrà andare oltre il 15 luglio. La prima vede ancora lo stabilimento di Taranto perno centrale, la seconda comporterebbe costi occupazionali elevati

La soluzione definitiva non è stata trovata. Ma per il futuro dell’ex Ilva — nell’incontro tra governo ed enti locali durato 7 ore — sono stati individuati due scenari, entrambi idonei a evitare lo stop degli impianti perché prevedono che si arrivi a definire un Accordo di programma condiviso. Fondamentale per il rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale che rappresenta l’unico modo per evitare che il tribunale di Milano decida lo stop degli impianti. Entro una settimana andrà imboccata una delle due strade, non si potrà andare oltre il 15 luglio. La prima vede ancora lo stabilimento di Taranto perno centrale del gruppo, la seconda comporterebbe, con ogni probabilità, costi occupazionali elevati nella città dell’ex Italsider. 

Taranto con il rigassificatore

In entrambi gli scenari è prevista la decarbonizzazione grazie a tre forni elettrici che sostituirebbero nel tempo gli attuali altoforni. Con una differenza fondamentale, anche in termini occupazionali: nello scenario che prevede la nave rigassificatrice nel porto di Taranto, tre Dri (Direct reduced iron) li riforniranno con il preridotto, perché questa soluzione necessita di un rigassificatore che fornisca il gas per alimentare i Dri. 




















































Taranto senza rigassificatore

Senza la nave rigassificatrice nel porto di Taranto, lo stabilimento pugliese potrebbe contare solo sui forni elettrici da alimentare attraverso gasdotto (2,5 miliardi di metri cubi l’anno che potrebbero arrivare immettendo più gas nella condotta Tap). Ma Taranto non avrebbe Dri e gli impianti di preridotto di ferro sarebbero spostati in un’altra città portuale del Sud — essendo il miliardo necessario alla loro costruzione già stanziato nel fondo di coesione che per l’80% delle risorse riguarda il Mezzogiorno — che potrebbe essere Gioia Tauro, altro porto importante del Sud che, in più rispetto a Taranto, ha in cantiere la costruzione di un rigassificatore terrestre. Se poi Taranto decidesse per due soli forni elettrici per ridurre i tempi della decarbonizzazione, la fornitura di acciaio per Genova, Novi Ligure e Racconigi potrebbe essere messa a rischio e quindi il terzo forno elettrico potrebbe essere dirottato proprio a Genova, al servizio del polo del Nord del gruppo. 

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La decarbonizzazione

In entrambi gli scenari la decarbonizzazione dell’ex Ilva sarà comunque più rapida, si scenderebbe a 8 e 7 anni, a seconda delle ipotesi rispetto ai 12 anni attuali. 

Le reazioni

«In entrambi i casi — ha sottolineato il ministro per le Imprese Adolfo Urso al termine dell’incontro — sarà mantenuta la continuità produttiva» e in ambedue gli scenari, «sono tre i forni elettrici per garantire 6 milioni di tonnellate di produzione, così come nel frattempo dovremo fare con gli altoforni». Sugli investimenti nei forni elettrici «la prima scelta spetta a Taranto» ma «poi potremo valutare insieme se sarà utile e necessario creare le condizioni» perché si possa «eventualmente realizzare un forno elettrico per Genova e gli stabilimenti del Nord». Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano è consapevole del bivio che Taranto si trova di fronte: «Il primo scenario consentirebbe di mantenere la strategicità dello stabilimento siderurgico di Taranto. Il secondo, invece, è legato alla possibile assenza della nave rigassificatrice: i soli tre forni elettrici non garantirebbero allo stabilimento il ruolo industriale che ha oggi». Alla scadenza del 15 luglio, il nuovo incontro si terrà alla presenza anche dei sindacati. Che alla decarbonizzazione affiancano un altro obiettivo: la tutela occupazionale. La partita non finirà a metà luglio.


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